A zia Ada, giovane vittima della "spagnola"
Il mese di ottobre si avviava
alla conclusione e le abitudini quotidiane delle persone erano ormai
stravolte dall’influenza che non dava segno di attenuazione.
Tutti i giornali del mondo, anche quelli locali, iniziarono a tenere aggiornati i propri lettori, alcuni non nascondendo la gravità della situazione, altri
cercando di non creare allarmismo, ma al tempo stesso dando informazioni utili
e raccomandando di attenersi a quanto disposto dalle autorità, anche
perché - allora come oggi - c’era chi diffondeva “notizie fantastiche” (oggi le
chiamiamo “fake news”):
«L’influenza, come in tutti i
paesi d’Italia ha battuto purtroppo anche alle porte delle nostre case, ma per
fortuna in forma benigna. Se si eccettuano infatti i casi in cui la resistenza
dell’ammalato era assai ridotta per precedenti scosse o vecchiaia, possiamo ben
dire che l’esito letale fu rarissimo. Da questa premessa intendiamo subito
trarre una raccomandazione perché siano evitati degli ingiustificati allarmi
mentre d’altra parte non si devono trascurare quelle norme speciali che ben
osservate scongiureranno ogni pericolo, o ad ogni modo lo renderanno più
leggero.
Ben a ragione quindi potremo
ripetere per noi quanto il Corriere della Sera di giovedì scorso ha scritto: “C’è
poi una forma di disfattismo che si compiace di seminare notizie fantastiche,
che esagera e generalizza casi particolari e di carattere affatto accidentale,
alimentando il terrore delle classi meno colte. Contro questo disfattismo
bisogna pure reagire ed essere senza pietà.
C’è un’altra tendenza che non va
incoraggiata, ed è quella dei critici per amor dell’arte o di facile
pubblicità, che suggeriscono provvedimenti a dritta e a manca e ti lanciano
giudizi senza alcun senso della realtà, concorrendo così ad accrescere la
confusione ed a sminuire la fiducia nelle autorità, in un momento in cui questo
proprio non è necessario”». [Il Giornale di Pallanza del 20
ottobre 1918]
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Prima pagina del quotidiano francese Excelsior: "I Londinesi indossano delle maschere
per proteggersi dall'influenza spagnola" |
Ormai era chiaro quali fossero le modalità di trasmissione del virus, quali fossero i sintomi e quali le conseguenze. Fu proprio nel 1918 che anche i cittadini comuni iniziarono a indossare le mascherine per diminuire il pericolo di contagio:
«La malattia che attualmente
infierisce e che venne denominata “grippe spagnola" non è che l’influenza
del 1889-90, cioè una malattia conosciuta da secoli e che generalmente fa la
sua apparizione due o tre volte ogni cento anni. Sua caratteristica essenziale
e d’essere contagiosa al massimo grado e di trasmettersi con estrema rapidità
da una regione ad un’altra; di qui il nome datole di pandemia, per significare
che colpisce non solo un popolo, o parte di un popolo, ma l’intera umanità. Fra
i disturbi provocati dalla malattia nella sua attuale recrudescenza, occorre
innanzitutto menzionare la febbre, il cui andamento contribuisce in buona parte
a dare al morbo la sua fisonomia speciale.
In generale la febbre d’influenza
debutta bruscamente raggiungendo di colpo 30-40 gradi per poi ridiscendere
rapidamente in due o tre giorni. Quelli più importanti però, perché più gravi
nelle conseguenze, sono i disturbi che colpiscono le vie respiratorie: naso,
laringe, trachea, bronchi e polmoni. La bronchite e la polmonite sono infatti
le complicazioni che hanno soventi esito fatale. […] Sembra oramai assodato che
il germe della malattia sia un microbo determinato cui servano da veicolo
particelle microscopiche di mucosità espulse con sternuto, tosse, od anche
semplicemente parlando concitatamente; per conseguenza, sebbene il numero
immenso dei colpiti dimostri l’impotenza di prevenirla, si potrà nondimeno
sperare in qualche buon risultato evitando assolutamente le riunioni numerose e
specialmente di avvicinare individui convalescenti od ammalati, i quali ultimi
dovrebbero possibilmente venire isolati». [La Vedetta, 26 ottobre 1918]
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Volontarie della Croce Rossa di Boston assemblano mascherine (fonte: archivio nazionale USA) |
Le misure di prevenzione diventavano
con il passare dei giorni sempre più severe:
«Chiusura dei Cimiteri. Per
misure sanitarie, i Cimiteri saranno tenuti chiusi nei giorni 1, 2 e 3 Novembre
prossimo. In via eccezionale, ed a parziale modificazione del Decreto già
pubblicato è permesso fino a mezzogiorno del 1. novembre alle famiglie di
mandare un incaricato a deporre fiori e corone sulle tombe dei loro cari». [La
Vedetta, 26 ottobre 1918]
«L’influenza. Il Sindaco, in
osservanza a recenti circolari Prefettizie, ritenuta 1’opportunità di più
rigorose norme profilattiche e igieniche, ha pubblicato questo nuovo avviso:
1) è sospeso fino a nuovo avviso
il suono delle campane per i trasporti funebri e per l’accompagnamento del
viatico.
2) agli accompagnamenti funebri
non devono prendere parte se non i parenti, evitando qualsiasi forma di corteo.
I trasgressori saranno puniti a
norma di legge.
N.d.R. - Tutti questi
provvedimenti sono ottimi ma pur troppo vediamo che pochi sono i cittadini che
sentono il dovere di rispettarli. Prevale nei più il sentimento di affetto
verso i poveri defunti e non si vuole trascurare l’estremo tributo che si
manifesta col seguirne i funebri. Belle cose anche queste, ma negli attuali
momenti e coi gravi pericoli che incombono sulla salute pubblica, ìl sentimento
si trasforma in incoscienza». [Il Giornale di Pallanza, 27 ottobre 1918]
Anche nel Verbano, purtroppo, contagi
e decessi aumentavano in modo esponenziale:
«Nota Mesta. Pur nel decrescere
il morbo fatale miete fra le nostre famiglie implacabilmente. Ogni nome di
defunti in questo periodo ricorda una storia di speranze troncate, di famiglie
in cui vuoti inopinati non potranno più essere colmi di miserie pietose che,
purtroppo, la parca ha lasciato dietro di sé. A tutti i provati la parola della
solidarietà umana, del cristiano conforto». [La Vedetta, 1 novembre 1918]
Il pensiero di tutti andava ai
morti, ma anche ai sofferenti:
«L’orologio Municipale. Mai come
ora una parte rispettabile della cittadinanza ha sentita la nostalgia dei
rintocchi dell’orologio Municipale. Sono specialmente gli ammalati 'spagnuoli' per i quali le notti sono eterne se non ne scanda le ore l’argentina voce
amica. I nostri vecchi solevano dire: “Che cosa serve aver la serva se la serva
poi non serve?” Noi chiediamo se non sia giunto il momento di provvedere ad un
servizio pubblico più importante di quanto può sembrare».
[La Vedetta, 1 novembre 1918]
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L'Ospedale di Intra (fonte: archivio G.B. De Lorenzi Finocchiaro, Verbania Antiche Immagini) |
Medici e infermieri erano in
prima linea, ma ciò non era ovviamente sufficiente. Serviva aiuto nella cura
degli ammalati:
«Lodi meritate. In una sua
recente circolare il Monsignor Vescovo di Novara scriveva: “Ho visto, or non è
molto, con grande piacere i parroci e i sacerdoti prestarsi con zelo e carità
edificante per assistere gli ammalati delle parrocchie vicine, che mancavano di
sacerdoti o non ne avevano sufficienti al bisogno”.
I membri del clero, cui era
indirizzata la lettera, leggendo il brano pensarono subito a un canonico della
Collegiata di S. Vittore. Quando nel settembre scorso il morbo infieriva a
Gravellona, dove mieté fra le sue vittime anche un sacerdote e un medico, la Curia
Novarese telegrafò al canonico intrese di portarsi in quel centro a coadiuvare
il reggente della parrocchia.
L’invito fu raccolto, e manco a
dirlo, il designato si trovò immantinente sul posto a confortare col suo
ministero i morenti, riempiendone l’anima di luce e speranza, a incoraggiare i
colpiti, a compiere insomma tutte le parti di pastore sollecito, meritandosi
l’encomio del Capo della diocesi, accorso a visitare l’addolorato paese. E non
si allontanò se non quando il pericolo era spento. Anzi vi fece più tardi altre
capatine per prestare i suoi servigi; in una delle quali gli capitò un caso
che illustra, come sprazzo di luce, il suo profilo spirituale. Vale la pena di
ricordarlo. Arrivato a notte fatta, egli bussa discretamente alla canonica; e giacché
nessuno ha avvertito i colpi e le chiamate, egli s’acconcia a passar la notte
seduto sullo scalino d’accesso, col capo appoggiato allo stipite, aspettandovi
fra un pisolino e l’altro l’Ave Maria mattutina.
II lettore converrà che in
ottobre l'avventura è meno piacevole che in agosto o in luglio. Ciò non impedì
punto che il cav. don Fr. Gagioli (tutti avranno capito che si tratta di lui)
sbrigasse al mattino le sue incombenze d’ufficio come se avesse dormito su un
materasso di piume in una tepida stanza». [La Vedetta del 1 novembre 1918]
E quando l’opera dell’uomo
sembrava non bastare, non restava che rivolgersi ai Santi che già in tempo di
pestilenze avevano soccorso il popolo di Dio:
«Triduo di propiziazione. Lunedì
verrà incominciato nell’oratorio di S. Rocco, attorno al quale si intrecciano
memorie storiche di voti e preghiere in tempi di calamità, dovendo la sua
origine precisamente da un’epoca di pubblico disagio, un triduo di
propiziazione, per iniziativa di devoti. Verrà celebrato la messa alla mattina
ed impartita la benedizione alla sera». [La Vedetta del 1 novembre 1918]
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Oratorio di S. Rocco a Intra (fonte: archivio F. Copiatti) |