lunedì 13 dicembre 2021

“Ul palazi” dell’alpe Ompio, un dimenticato luogo di villeggiatura

Non ricordo quando sentii parlare di Villa Müller per la prima volta. Forse fu in occasione di una gita a Ompio o forse leggendo qualche libro dedicato alla Val Grande.
La ritrovai citata su giornali d’epoca in occasione della ricerca sulla vita della guida alpina Antonio Garoni, poi conclusasi con la pubblicazione del libro “A passo di vacca” (Azimut, 2018 e 2019).
Cera poi quella leggenda del fantasma di Ompio che mincuriosiva, quellapparizione che si ripeteva ogni anno a Natale, allo scoccare della mezzanotte.
Della villa non si avevano immagini. La fortuita e fortunata scoperta di alcune fotografie rintracciate da Enzo Azzoni di Pallanza ci permette ora di scoprirne dimensioni e struttura.

Ompio, settembre 1892 (foto archivio Enzo Azzoni, Pallanza)

mercoledì 8 dicembre 2021

La stellina rossa

Il Natale era prossimo. Nella piccola piazza di Cavandone una masnada di bambini giocava a rincorrersi e a tirar palle di neve. I fiocchi cadevano grossi e copiosi, ricoprendo tutto, strade, case, prati, boschi, imbiancando monti e valli.

All’apparire di quella stracca figura di viandante, i monelli si fermarono di botto, vivamente incuriositi. Era un uomo barbuto, non ancora vecchio. Recava sul viso e negli occhi i segni della stanchezza.

Al suo fianco camminava, zoppicando, un grosso cane lanoso col muso rivolto verso terra. Sia l’uomo che la bestia facevano molta pena e dalla turba dei ragazzi non tardò a levarsi un mormorio di compassione.
L’uomo, attraversata la piazza, raggiunse il muretto che guarda verso Bieno e, buttati bastone e fagotto in un angolo, si lasciò cadere a terra come un sacco vuoto.

Osteria della Cusura, Cavandone

giovedì 25 novembre 2021

Val Grande, 1971-2021: conversando con Teresio Valsesia a 50 anni dall’istituzione delle due riserve naturali piemontesi

«Scaredi è sullo spartiacque fra la Val Loana e la Val Portaiola
che immette nella Val Grande.
Da una parte gli alpeggi vigezzini: candidi grappoli fra il verde dei pascoli
in un paesaggio dominato dalle linee dolci e sinuose.
Dall’altra una natura selvaggia e incorrotta fra aspre pareti di roccia.
Studiamo la situazione. Paolo ed io. E guardiamo a lungo la valle ignota e allettante.
Zaino in spalla e giù per il costone seguendo una traccia che subito si perde tra l’erbe alte».

Teresio Valsesia, Una vera foresta a due passi da casa,
in "Risveglio ossolano" del 30 novembre 1967


Conosco Teresio Valsesia dal 1990, quando lo ascoltai a Cossogno, il paese delle mie origini, in occasione della presentazione di una nuova ristampa di “Val Grande ultimo paradiso”, libro di cui già possedevo la prima edizione uscita nel 1985.
Qualche anno dopo ebbi modo di incontrarlo altre volte, io dipendente e lui consigliere del Parco Nazionale Val Grande. Mi capitò anche la fortuna di camminare con lui sui sentieri “dell’area selvaggia più vasta dell’Alpi”, slogan che accompagna da sempre questa zona protetta situata tra il lago Maggiore e le valli Cannobina, Vigezzo e d’Ossola.
Alpinista, giornalista, scrittore, già vice presidente del Club Alpino Nazionale, Valsesia è una figura molto nota nel panorama della cultura alpina.
Da tempo avevo il desiderio di soddisfare alcune mie curiosità sul suo legame con la Val Grande. L’occasione mi viene data ora da un doppio anniversario. Cinquant’anni fa, infatti, il 26 luglio 1971 veniva approvato il decreto attuativo dell’istituzione della Riserva naturale Val Grande, già individuata dal 1967 nell’area del Monte Pedum come prima Riserva integrale delle Alpi, e della confinante Riserva naturale orientata del Monte Mottac. Inoltre, nello stesso anno, sul numero 6 della rivista “Novara”, mensile economico della CCIAA provinciale, usciva l’articolo di Valsesia “La Valgrande”, poi edito in estratto come opuscolo.
Al futuro parco nazionale, veniva così dedicata la prima di tantissime pubblicazioni monografiche.
Complice la pandemia in corso e la mia lontananza dal Piemonte, scelgo di inviare le mie domande a Teresio e lui, con la consueta disponibilità e amicizia, mi risponde con quell’entusiasmo che da sempre lo contraddistingue.

Ciao Teresio. Spero che tu stia bene e voglia soddisfare alcune mie curiosità che, lo ammetto, da anni si risvegliano nella mia mente ogni volta che sfoglio un tuo libro o leggo un tuo articolo. L’occasione è questo anniversario. So che i tuoi primi articoli risalgono a qualche anno prima, ne ho letti alcuni del 1967. Mi sono sempre chiesto a quando risale la tua prima escursione in valle e lungo quale percorso si svolse.

Caro Fabio, sto abbastanza bene (un mio amico diceva: “discretamente male”). La mia prima volta in Val Grande. Ne ho già fatto cenno qualche volta. Ero in Vespa con un mio amico di Bogogno (paese vicino a Santa Cristina, dove abitavo). Lui era un esperto di astronomia. Eravamo diretti verso la Formazza. Macugnaga – che poi divenne il mio paese - non la conoscevo ancora. Avevo circa 18 anni. Quindi siamo a fine anni ’50. Arrivati a Gravellona Toce abbiamo visto che l’Ossola era tutta buia. Invece sulle montagne del Verbano splendeva il sole. Una linea meteo che si ripete alcune volte all’anno: brutto a nord della linea da Poschiavo-Biasca-Domodossola. Bello a sud. Abbiamo quindi girato a destra ripiegando su Fondotoce, e poi continuando verso Bieno, Santino, Rovegro fino a Cicogna. La strada era stretta e non ancor asfaltata. Di Cicogna non sapevo niente salvo che esisteva perché l’ultimo parroco prima di don Fiora era del mio paese, don Claudio Mora, che era sfuggito al rastrellamento nazifascista perché sceso a Intra dal dentista. Non tornò più a Cicogna. Me l’aveva raccontato mio padre. Don Claudio, che era giovanissimo, subì un grande spavento e le conseguenze si manifestarono anche negli anni successivi.

Come ricordi l’arrivo in quella che poi sarebbe diventata “la capitale del Parco”?

R. In piazza a Cicogna non c’era anima viva. Il paese era deserto. Poi vedemmo la casa parrocchiale con affisso un cartello: “Cave Canem”. Incuriositi, siano entrati. C’era una scala in sasso che finiva con due porte, a destra e a sinistra. A destra si sentiva che c’era qualcuno. Ci siamo trovati davanti a uno che chiodava degli scarponi. «Ci scusi, non cercavano un calzolaio, ma il parroco». E lui: «Sono io». Era don Antonio Fiora. Siamo diventati amici e mi ha sempre mandato il suo bollettino parrocchiale. Poi siamo saliti alla Casa dell’Alpino e siamo ritornati in paese, che anche quella volta si presentò deserto. Dopo un po’ di tempo sono ritornato con mia mamma, sempre con la Vespa. Siamo saliti ancora alla Casa dell’Alpino. Pranzando abbiamo visto che le pecore scappavano dal prato e si rifugiavano sotto i grandi faggi. Ho guardato in alto: volteggiavano due aquile e un aquilotto. Anche allora non abbiamo incontrato nessuno.

Trovate il seguito dell'intervista in https://www.altitudini.it/val-grande-1971-2021/


Teresio Valsesia autografa il suo "Val Grande ultimo paradiso"
(foto g.c. da Paola Nalin)








giovedì 21 ottobre 2021

“Il vento dei morti”: una leggenda valgrandina

Ottobre sta per chiudersi, una brezza capricciosa e tiepida alita su Cossogno.
Dagli alpeggi della Val Grande, i pastori s’incamminano verso i paesi. Olimpia, seduta sotto il portichetto della cappella, osserva vacche, pecore e capre sciamare lente lungo la mulattiera. Raggiunte le stalle, varcheranno di malavoglia la porta e qui trascorreranno i lunghi e freddi mesi invernali, recluse nella semioscurità.
I riflessi del sole creano strane visioni lungo i versanti scoscesi e le balze rocciose. Il bosco, non più verde e ombroso, sembra gemere. Folate di vento scompigliano le chiome, le ultime foglie rimaste sugli alberi sembrano scosse da brividi innaturali; un tremito violento incurva le cime delle piante più esili, par di sentire un lamento, un pianto, un’invocazione.
Olimpia, giovane contadina, rammenta e s’inquieta.


giovedì 7 gennaio 2021

Neve a Cicogna. I ricordi di una maestra (e di un maestro)

Il libro "Cicogna ultima Thule" e le abbondanti nevicate di questi giorni hanno risvegliato nell'amico Guido Canetta di Bèe ricordi di un inverno lontano.
Buona lettura! Fabio

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Era una domenica di gennaio o febbraio del 1970 quando, sulla mia strada, mi capitò di incrociare ancora una strùsa.
Pinuccia, in quell’anno scolastico aveva avuto l’incarico per una supplenza annuale alla Scuola Elementare di Cicogna, funzionante con due alunni, Paola in III e Renato in V.
All’epoca tutte le scuole classificate “di montagna” dovevano disporre di locali ad uso abitazione per l’insegnante ma, visto che ormai quasi più nessuno ne faceva richiesta potendo raggiungere le varie sedi in auto, spesso detti locali non erano più agibili o comunque in condizioni tali da poterci vivere.
Di conseguenza l’obbligo di risiedere nel paese della scuola assegnata non veniva più rispettato e i direttori didattici chiudevano un occhio.
E così, dal 1° ottobre 1969, Pinuccia si faceva avanti e indietro Intra – Cicogna in Fiat 500, al lunedì, martedì, mercoledì, venerdì e sabato; il giovedì no perché era giorno di vacanza.
Con l’arrivo dell’inverno però, non poteva correre il rischio che qualche nevicata bloccasse la strada e che pertanto non potesse raggiungere Cicogna. Un’assenza per quella causa non era consentita alle supplenti e pertanto … a partire dalla fine di novembre si trasferì lassù, ospite pagante della Serafina, titolare del negozio di generi alimentari, dell’annessa osteria e delle camere al piano superiore.

Gli scolari Paola e Renato al pozzo lavatoio di Cicogna

La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...