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Ompio, settembre 1892 (foto archivio Enzo Azzoni, Pallanza) |
"A passo di vacca" è il titolo di un libro ma anche la mia filosofia del camminare, ovviamente lento, osservando quello e quelli che incontro lungo strade e sentieri. Questo blog raccoglie pensieri, racconti e frammenti di storia, editi e inediti, dedicati a terre e acque lepontine, tra lago Maggiore e valli ossolane.
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Ompio, settembre 1892 (foto archivio Enzo Azzoni, Pallanza) |
Conosco Teresio Valsesia dal 1990, quando lo ascoltai a Cossogno, il paese delle mie origini, in occasione della presentazione di una nuova ristampa di “Val Grande ultimo paradiso”, libro di cui già possedevo la prima edizione uscita nel 1985.
Qualche anno dopo ebbi modo di incontrarlo altre volte, io dipendente e lui consigliere del Parco Nazionale Val Grande. Mi capitò anche la fortuna di camminare con lui sui sentieri “dell’area selvaggia più vasta dell’Alpi”, slogan che accompagna da sempre questa zona protetta situata tra il lago Maggiore e le valli Cannobina, Vigezzo e d’Ossola.
Alpinista, giornalista, scrittore, già vice presidente del Club Alpino Nazionale, Valsesia è una figura molto nota nel panorama della cultura alpina.
Da tempo avevo il desiderio di soddisfare alcune mie curiosità sul suo legame con la Val Grande. L’occasione mi viene data ora da un doppio anniversario. Cinquant’anni fa, infatti, il 26 luglio 1971 veniva approvato il decreto attuativo dell’istituzione della Riserva naturale Val Grande, già individuata dal 1967 nell’area del Monte Pedum come prima Riserva integrale delle Alpi, e della confinante Riserva naturale orientata del Monte Mottac. Inoltre, nello stesso anno, sul numero 6 della rivista “Novara”, mensile economico della CCIAA provinciale, usciva l’articolo di Valsesia “La Valgrande”, poi edito in estratto come opuscolo.
Al futuro parco nazionale, veniva così dedicata la prima di tantissime pubblicazioni monografiche.
Complice la pandemia in corso e la mia lontananza dal Piemonte, scelgo di inviare le mie domande a Teresio e lui, con la consueta disponibilità e amicizia, mi risponde con quell’entusiasmo che da sempre lo contraddistingue.
Ciao Teresio. Spero che tu stia bene e voglia soddisfare alcune mie curiosità che, lo ammetto, da anni si risvegliano nella mia mente ogni volta che sfoglio un tuo libro o leggo un tuo articolo. L’occasione è questo anniversario. So che i tuoi primi articoli risalgono a qualche anno prima, ne ho letti alcuni del 1967. Mi sono sempre chiesto a quando risale la tua prima escursione in valle e lungo quale percorso si svolse.
Caro Fabio, sto abbastanza bene (un mio amico diceva: “discretamente male”). La mia prima volta in Val Grande. Ne ho già fatto cenno qualche volta. Ero in Vespa con un mio amico di Bogogno (paese vicino a Santa Cristina, dove abitavo). Lui era un esperto di astronomia. Eravamo diretti verso la Formazza. Macugnaga – che poi divenne il mio paese - non la conoscevo ancora. Avevo circa 18 anni. Quindi siamo a fine anni ’50. Arrivati a Gravellona Toce abbiamo visto che l’Ossola era tutta buia. Invece sulle montagne del Verbano splendeva il sole. Una linea meteo che si ripete alcune volte all’anno: brutto a nord della linea da Poschiavo-Biasca-Domodossola. Bello a sud. Abbiamo quindi girato a destra ripiegando su Fondotoce, e poi continuando verso Bieno, Santino, Rovegro fino a Cicogna. La strada era stretta e non ancor asfaltata. Di Cicogna non sapevo niente salvo che esisteva perché l’ultimo parroco prima di don Fiora era del mio paese, don Claudio Mora, che era sfuggito al rastrellamento nazifascista perché sceso a Intra dal dentista. Non tornò più a Cicogna. Me l’aveva raccontato mio padre. Don Claudio, che era giovanissimo, subì un grande spavento e le conseguenze si manifestarono anche negli anni successivi.
Come ricordi l’arrivo in quella che poi sarebbe diventata “la capitale del Parco”?
R. In piazza a Cicogna non c’era anima viva. Il paese era deserto. Poi vedemmo la casa parrocchiale con affisso un cartello: “Cave Canem”. Incuriositi, siano entrati. C’era una scala in sasso che finiva con due porte, a destra e a sinistra. A destra si sentiva che c’era qualcuno. Ci siamo trovati davanti a uno che chiodava degli scarponi. «Ci scusi, non cercavano un calzolaio, ma il parroco». E lui: «Sono io». Era don Antonio Fiora. Siamo diventati amici e mi ha sempre mandato il suo bollettino parrocchiale. Poi siamo saliti alla Casa dell’Alpino e siamo ritornati in paese, che anche quella volta si presentò deserto. Dopo un po’ di tempo sono ritornato con mia mamma, sempre con la Vespa. Siamo saliti ancora alla Casa dell’Alpino. Pranzando abbiamo visto che le pecore scappavano dal prato e si rifugiavano sotto i grandi faggi. Ho guardato in alto: volteggiavano due aquile e un aquilotto. Anche allora non abbiamo incontrato nessuno.
Trovate il seguito dell'intervista in https://www.altitudini.it/val-grande-1971-2021/![]() |
Gli scolari Paola e Renato al pozzo lavatoio di Cicogna |
Tra i lettori di “Val Grande ultimo paradiso”, il libro di Teresio Valsesia che meglio di altri illustra l’area protetta più vasta delle Alp...