Per la Val Grande, come da sempre si racconta, la
primogenitura dell'idea di parco nazionale risale agli anni '50 del secolo
scorso, quando la proposta di istituzione di una foresta demaniale fu sostenuta
dal senatore generale Raffaele Cadorna e dall’onorevole Natale Menotti, che
così ricordò anni dopo: «Era e doveva essere, almeno nella nostra mente, una
specie di grande monumento da erigere non soltanto alla bellezza della nostra
montagna ma anche a tutti coloro che in quella zona avevano combattuto e vi erano
morti o erano stati feriti durante la guerra di Liberazione, tanto da meritare
la qualifica di martire: Val Grande martire».
Müntuzze (Montuzzo), corte maggengale nella bassa Val Grande, negli anni '60 del secolo scorso (foto T. Valsesia) |
Il ruolo che ebbero il Corpo Forestale dello Stato, l’Azienda
di Stato delle Foreste Demaniali e le amministrazioni locali nell'avviare il
lungo iter burocratico che portò dalla foresta demaniale alle Riserve di Stato
e poi al parco nazionale, è noto e raccontato in tutti i libri che parlano
della Val Grande. Pochi sanno, invece, che già nel 1928 ci fu chi scrisse: «Questa
immensa zona che si estende su una superficie di ettari tremila novecentodue
pari a 39 kq è cosparsa di boschi secolari, pascoli verdeggianti, rocce
inaccessibili, sorgenti di acqua, roveti e rododendri, e già naturalmente ricca di selvaggina nobile stanziale, specialmente
camoscio, gallo di monte, francolino, coturnici, lepre bianca e grigia» e
la definiva una «zona meravigliosa, la quale sotto ogni punto di vista non
teme oggi confronti in Italia, dopo i due parchi Nazionali del Gran Paradiso e
degli Abruzzi» anzi, che «per le sue proporzioni» poteva essa stessa essere «un
parco nazionale».
A
dire il vero, quest’area era stata già segnalata a fine Ottocento dal Club
Alpino Italiano per la sua «natura aspra e selvaggia». Agli albori dell’escursionismo la
Val Grande e la vicina Val Pogallo furono sovente esplorate dai soci della
Sezione Verbano che poi ne migliorarono l’accessibilità segnando sentieri,
attrezzando nuove vie (le Strette del Casè e il Sentiero Bove) e costruendovi
tre ricoveri, al Pian Cavalllone, a Pian Vadà e a Bocchetta di Campo.
Escursione in Val Grande nel 1910 (in "Verbania", maggio 1910) |
Ma chi fu che nel 1928 paragonò la Val Grande ai due parchi
nazionali storici appena istituiti (Gran Paradiso
1922, Abruzzo 1923)?
Tutto ebbe inizio qualche anno prima quando sui muri delle
case dei paesi delle valli del San Giovanni e del San Bernardino, le cosiddette “Valli Intrasche”, comparve un manifesto che decretava: «L’Unione Cacciatori del
Verbano rende noto agli interessati che la regione del Toden è costituita in
bandita di ripopolamento regolarmente riconosciuta e autorizzata a norma delle
vigenti leggi sulla caccia e delimitata da indicatori alla prescritta distanza.
Diffida perciò chiunque dallo entrare in detta zona, con o senza cani o
comunque a scopo ed in atteggiamento di caccia, avvertendo che è stato provveduto
per una rigorosa sorveglianza, e per le necessarie sanzioni a carico dei
contravventori delle disposizioni sopraccennate».
L’Unione Cacciatori Verbano era nata nel 1894 e, dopo un
periodo di apparente inattività forse dovuta alla Grande Guerra, all'inizio
degli anni Venti fu rifondata sotto la presidenza di Pietro Maioni (all'epoca
proprietario del villino all'alpe Prà sopra Cicogna, oggi Casa dell’Alpino).
Per “Bandita” s’intendeva un territorio in cui era proibita la caccia. A
differenza della “Riserva”, nella Bandita
la caccia non era consentita neanche al proprietario del terreno.
La “Bandita del Toden” era stata istituita tra il 1922 e il
1923, «risultando una Bandita in alta montagna, sul Monte Zeda, prima e forse
sola fra tutte le Società d’Italia, per salvare dalla completa distruzione il
gallo di monte».
Visti gli ottimi risultati ottenuti, nel 1928 si decise di
costituirne «un'altra di estensione enorme la quale comprende tutta la Val
Grande, e sarà certamente fra le più belle e importanti d’Italia […], per circa
39 Kq, su un territorio che per 15 anni rimarrà chiuso a tutti i cacciatori per
qualsiasi motivo e ove troveranno rifugio e condizioni atte al ripopolamento
tutte le specie nobili della selvaggina dei nostri monti; ed altre che verranno
importate [...], Bandita che sarà quasi per le sue proporzioni “un parco
nazionale”».
La
funzione di queste “Bandite” era ben nota, proteggere la fauna per un
determinato numero di anni per favorirne il ripopolamento e poi riaprire la
caccia: «L’incoscienza dei bracconieri e di taluni cacciatori privi di
coscienza venatoria aveva messo tempo addietro a grave repentaglio l’esistenza
della caccia nella zona. La selvaggina cacciata senza il minimo senso di
responsabilità correva fatalmente verso la definitiva distruzione».
Il 9 giugno del 1928 il giornale La Gazzetta del Lago Maggiore diede la notizia della nascita della
“Bandita della Val Grande”:
Con
decreto 9 maggio 1928 il Ministero dell'Economia Nazionale ha istituito la
nuova bandita della Val Grande propugnata e richiesta dalla Unione Cacciatori
del Verbano, la quale per ottenere il riconoscimento non ha risparmiato nessun
sacrificio onde costituire nella regione montana della nostra Provincia una
zona di difesa per la selvaggina nobile stanziale.
Il
territorio scelto si presta magnificamente allo scopo per la sua configurazione
topografica sembrando quasi un’isola ben delimitata e per la maggior parte
quasi inaccessibile sui due lati che strapiombano sul fondo valle percorso da
una parte dal torrente S. Bernardino e dall'altra dai torrenti Portaiola e
Pogallo. A mezzogiorno l’ingresso è obbligato dal ponte Casletto. A nord e
verso la Val Cannobina la Linea è ben delimitata e facilmente sorvegliabile sicché nessuno potrà entrare ed uscire dalla bandita senza subire un rigoroso
controllo. I pochi bracconieri ben conosciuti e identificati, vedono ora la
fine della loro opera di distruzione.
Questa
immensa zona che si estende su una superficie di ettari tremila novecentodue
pari a 39 kq. è cosparsa di boschi secolari, pascoli verdeggianti, rocce
inaccessibili, sorgenti di acqua, roveti e rododendri, e già naturalmente ricca
di selvaggina nobile stanziale, specialmente camoscio, gallo di monte,
francolino, coturnici, lepre bianca e grigia. L’Unione Cacciatori del Verbano
concessionaria per 14 anni cioè a tutto il 1943, provvederà ad immettervi il
capriolo ed il muflone.
L’esperienza
e il favorevolissimo esito di tentativi attuati in zone assai meno adatte, ci
rende certi che nel volgere di pochi anni, si costituirà in questa zona un vero
serbatoio di selvaggina che irradierà la sua benefica azione non solo alla
regione circostante ma anche alle altre zone più lontane.
L’Unione
Cacciatori del Verbano provvederà nei termini e nei modi prescritti dal decreto
di concessione, all'impianto e al funzionamento della grande bandita, colla
apposizione degli indicatori, con la nomina delle nuove guardie, in modo da
stabilire un regolare servizio di vigilanza, onde i gravi sacrifici finanziari
e d’ogni genere che quest’opera ha imposto e imporrà, diano quel compenso che
se ne attendono i promotori. La sorveglianza della bandita sarà affidata a
cinque guardie giurate, alla Milizia Forestale, alle guardie Comunali, alle
dipendenze di un capo-guardia-caccia; ad essi è affidato il compito di far la
guerra più spietata ai rapaci, ai cani vaganti, e ai bracconieri, i quali come
abbiamo detto sono pochi, ben conosciuti e controllati.
Dal 9
maggio 1928 al 31 dicembre 1943, nessuno per nessun motivo potrà penetrare
nella zona bandita con cani e con armi ad eccezione degli agenti della Società Concessionaria a scopo di sorveglianza, o per l’uccisione dei rapaci.
Richiamiamo
perciò l’attenzione di tutti coloro cui dette disposizioni possano interessare
perché la Società si propone di raggiungere lo scopo, con
la massima serietà eliminando fin dall'inizio gli abusi che finora hanno
devastato questa zona meravigliosa, la quale sotto ogni punto di vista non teme
oggi confronti in Italia, dopo i due parchi Nazionali del Gran Paradiso e degli
Abruzzi.
Purtroppo già allora operazioni come questa, che vedevano
limitata la caccia anche se per “soli” 15 anni, non erano ben viste da tutti i
cacciatori. Negli anni a seguire più volte i giornali locali riportarono
lamentele da parte di non ben identificati “nemici” della Bandita.
Il 15
novembre 1930 sul settimanale L’Unione apparve
questo articoletto:
Sono
trascorsi tre anni ormai da quando è stata dichiarata zona di caccia riservata
un vasto appezzamento di terreno situato sulle nostre montagne e confinanti coi
Comuni di Cossogno e Rovegro. Ma tale zona sta diventando da allora, anziché
una bandita di ripopolamento, un vero vivaio di volpi e di grossi uccelli di
rapina.
Nei
due comuni citati si registra infatti annualmente un danno di parecchie migliaia
di lire per capretti, pecore, agnelli, polli ecc., portati via durante il
pascolo dalle volpi e dagli uccelli di rapina e si registra pure una
distruzione generale di gatti mentre in contrasto avviene una vera invasione di
topi.
Non
manca solo che una invasione di lupi e di orsi e poi anche gli abitanti
dovranno sloggiare da tutti i secolari paesi di alta montagna. Gli abitanti
della zona invocano quindi che il pericolo sia scongiurato.
La replica non tardò ad arrivare e La Gazzetta il 22 novembre pubblicò una lettera
firmata da Carlo Nicolini, direttore della “Bandita Pedum-Laurasca” (ossia
della Val Grande). Dopo aver lamentato l’aumento del bracconaggio, Nicolini con
ironia concluse:
Chi
fermerà gli orsi che scendendo a branchi dalla montagna divoreranno Cicogna che
non sarà per loro un paese ben costrutto ed abitato da valida gente montanara,
ma un prelibato boccone come l'augurale omonimo uccello?
Vengano
i falchi, vengano le volpi, e magari gli orsi e magari i discendenti degli
elefanti di Annibale, i cui avi attraversarono le Alpi, ma io non consentirò
mai a far rilasciare permessi di caccia a scopo di repressione di rapaci nella
Bandita, a quei famelici lupi distruttori e speculatori che portano pantaloni
ed usano i lacci più del fucile e blaterano, in tutte le vallate con
l’impudente linguaggio dei bracconieri, che li ha fatti individuare e che li
raccomanda alla vigilanza delle guardie della Bandita ed ai benemeriti Militi
Forestali.
Cacciatori cossognesi negli anni '20. Da sinistra: Gervaso Perazzi, Brizio Ramoni (guida alpina), Umberto Del Grande (di Ungiasca) e Riccardo Ramoni (foto archivio Sandro Ramoni, g.c.) |
La "Bandita" però ebbe vita breve. Venne soppressa nel 1932 come si legge, sempre su La Gazzetta:
Col
ultimo decreto del 15 u.s. sono state completate le disposizioni che
disciplinano l'esercizio venatorio a tutto il 31 dicembre 1932; i cacciatori
della zona montana nella nostra Provincia possono essere soddisfatti. poiché
vietato il camoscio, vietato il gallo di monte, vietata la caccia nell'estuario del Toce, ridotta ad un mese o poco più la caccia alla lepre col segugio,
soppressa la bandita Pedum-Laurasca che era costata tanto lavoro e tanti sacrifici,
non rimane, loro che ingrassare il fucile ed augurarsi che una buona nevicata
venga presto a completare l'opera di restrizione e a mettere, dopo i cacciatori onesti, anche i bracconieri in assoluto riposo.
La storia dell’Unione Cacciatori del Verbano e delle sue due
Bandite, quella del Toden/Zeda e quella della Val Grande/Laurasca/Pedum,
meriterebbe di essere approfondita. Questa mia nota vuol essere solo
un’anteprima di quello che gli archivi conservano e che maggiori informazioni,
anche a livello naturalistico riguardo alle specie presenti, potrebbero dare.
Non è mia intenzione cambiare
la storia e tanto meno togliere meriti a quegli uomini che dal 1952 in poi
diedero un vero, costante e decisivo contributo alla nascita del Parco
Nazionale Val Grande, ma solo ricordare chi, anni prima, già paragonava la
valle ai due parchi nazionali e, anche se per finalità del tutto diverse da
quelle di un’area protetta, vietò la caccia al suo interno (per ben 15 anni!).
Voglio però credere che quei ripetuti richiami ai parchi nazionali fatti da
Achille Casagrande, l’allora presidente dell’Unione Cacciatori del Verbano, non
fossero casuali, ma che ci fosse da parte sua la lungimirante convinzione che
quello potesse essere il futuro della Val Grande.
10 novembre 1955: uno dei primi articoli in cui si parla di un parco nazionale da istituire in Val Grande |
Bibliografia
T. Valsesia, Val Grande ultimo paradiso, Alberti libraio editore, 1985 ed edizioni successive
A. Azari, Il Generale Raffaele Cadorna e il Parco Naturale della Val Grande, in "Oscellana", n. 4 ottobre-dicembre 1992
La Gazzetta del Lago Maggiore (poi La Gazzetta), numeri vari
Il Corriere dei Laghi, numeri vari
L'Unione, numeri vari
La Voce del Lago Maggiore, numeri vari
© Fabio Copiatti
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