Dopo oltre novant’anni il lupo è tornato a frequentare le
montagne della Val d’Ossola. Dall’uccisione dell’ultimo lupo, avvenuta all’alpe
Mazzucchero nel 1927, il predatore era scomparso dai monti ossolani.
Per decenni, parlando e scrivendo della presenza storica di
questo grande predatore, si citarono il “Lupo del Mazucher” e il suo giustiziere Giuvanin
dul luv, immortalati da La Domenica
del Corriere in una delle celebri copertine illustrate da Achille Beltrami.
Una storia quasi epica, questa, e come tale contesa tra due
comunità, quella di Pieve e quella di Forno, in Valle Strona.
A tramandarla fino a noi hanno contribuito il breve racconto
pubblicato dal settimanale milanese e i ricordi dei famigliari del Borghini, la
moglie Margherita Rosetti e il figlio Dalmazio.
A queste narrazioni si aggiunge ora un articolo di cronaca
poco noto, comparso a una settimana dal fatto su un giornale locale, La Gazzetta del lago, a firma GIGI, che
aggiunge qualche particolare fino ad ora sconosciuto.
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La copertina de "La Domenica del Corriere" dedicata all'uccisione del lupo del "Mazucher" |
Leggiamo insieme quel che raccontò ai suoi lettori il
giornalista del periodico intrese.
«La nostra breve storia del lupo e del pastore si è avverata
sopra Pieve di Rumianca, nel versante ossolano del sistema che ha per culmine il Pizzo Camino: un
gigante altissimo, dominante, fra la valle Anzasca, coi ghiacciai di Macugnaga,
e la Val d’Ossola [...]».
È la mattina del 14 gennaio, di venerdì, quando il pastore
Borghini Giovanni di Vincenzo e Francioli Maria, nato il 6 dicembre del 1898, abitante in località Pieve,
nel Comune di Rumianca (che nel 1928 divenne Pieve Vergonte), decide di salire
alla sua baita sita all’alpe Mazzucchero, un pascolo a 900 metri di altezza.
Procede lentamente, aiutandosi con un bastone per non scivolare sul terreno
ghiacciato e con «il fucile a tracolla, carico a mitraglia, per difendersi
dalle bestiacce». E difatti scorge, lungo il sentiero, sulla neve che ricopriva
i circostanti pianori, «tracce disordinate del vagare di un quadrupede».
«Si teneva accorto, ma non in attenti, perché l’estensione
bianca consentiva alla vista di spaziare e scandagliare tutta l’ampiezza».
Giunto verso le ore 9 sulla soglia dell’uscio semiaperto
della baita, Giovanni Borghini appoggia il bastone al muro e si accinge a
entrare con l’idea di accendere il fuoco. Mai avrebbe pensato di vedere,
accoccolato in un angolo della stalla, un grosso lupo! Sopresa e terrore lo
paralizzano: «La bestiaccia balza verso la porta della baita, contro
l’importuno arrivato. Non spaventa soltanto; perché agisce. Ritta sulle zampe
posteriori, assalisce il pastore, colle altre due zampe, agisce; il Borghini
riporta, frattanto, con la lacerazione della camicia e della maglia,
graffiature al petto, sotto il collo. Il fucile, perché a tracolla e perché la
bestiaccia è a contatto, carne contro carne, è un oggetto, sul momento,
ingombrante. Non c’è da gridare, come il pastore di Esopo, lupus adest, perché non risponderebbe nemmeno l’eco, rivestito
com’è – il luogo del suplizio – di soffice innocente neve».
L’uomo, però, non si dà per vinto. Riagguanta il bastone e
sferra sul capo dell’animale una dirompente randellata che lo abbatte per un
istante. Poi, di scatto, corre su retro della baita che, per un rialzo, ha il
tetto quasi a filo del terreno. Vi sale sopra ma a stento, perché il lupo,
ripresosi dal colpo infertogli, lo ha rincorso, riuscendo a raggiungerlo e ad
addentargli la cavigliera da alpino che gli fascia la gamba.
Borghini è ormai ritto sul tetto, col fucile spianato verso
il basso. Spara un colpo, due, tre: «La bestiaccia è a terra appena sotto il
tetto, ma non vede più il pastore perché le schegge della mitraglia le hanno
violato il muso e rotto le pupille». Altri tre colpi sul bersaglio ormai
immobile e un rivolo di sangue arrossa la neve. Il lupo stringe i denti su un
panno grigio: la fascia del pastore. Un ultimo respiro e il buio.
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Giovanni Borghini e il lupo del Mazucher |
Il cronista che pochi giorni dopo riportò i fatti su La Gazzetta, vide la carcassa
dell’animale: «Pare un cane domestico, ma non è un cane; il colore è rossiccio,
ad ondeggiamenti quasi neri, non molto dissimile dal colore del pelo dei
domestici cani lupi; ma codesto pelo è irsuto, punto arricciato, alquanto più
molle del soprabito del riccio spinoso ma alquanto più duro del pelo dei cani.
È della spessezza di uno spillo di media dimensione. Grugno aguzzo, ma breve.
Lungo da m 1.30 e 1.40; lingua spessa quasi un centimetro, coda tozza, di
volume volpino. […]. Narrano gli anziani, che da diverse decine di anni, non si
è notato la presenza di lupi nelle valli. Il soggetto potrebbe provenire,
attraverso il Monte Rosa, dalla valle di Aosta, cacciato dal freddo, per avviarsi
verso i colli di questo Lago Maggiore. Ovvero, provenire clandestinamente, e
senza passaporto, in barba alle leggi fascistissime, dalla vicina
Confederazione Svizzera. La bestiaccia è di sesso maschile».
L’aggressione e la conseguente uccisione del lupo non
passarono inosservate. Sospettando che il lupo avesse una compagna, schiere di
«volenterosi cacciatori» organizzarono battute «nell’intento di avere il bene
di palpeggiare il pelo della lupa».
La
Gazzetta del 5 febbraio titolava:
Battute
di gruppi di cacciatori nella regione ossolana:
«La notizia dell’invasione
di branchi di lupi nelle regioni dell’Ossola e del Cusio, e quella
dell’uccisione di una belva in quel di Macugnaga, avevano messo in allarme gli
abitanti di quelle zone, e numerosi gruppi di cacciatori iniziarono coraggiose
battute. Si dice che un secondo lupo sarebbe stato colpito e ferito da un
cacciatore; d’altra parte si afferma che da alcuni giorni nessun lupo è stato
avvistato sia nell’Ossola che nel Cusio».
Com’è noto, la vicenda ebbe eco anche sulla stampa
nazionale. La Domenica del Corriere
del 30 gennaio 1927 gli dedicò la copertina. Dice la didascalia: «Un cattivo
incontro in montagna. Un pastore, certo Borghini, giunto alla porta di una
baita, fra le valli Anzasca e d’Ossola, scorgeva un lupo, che subito gli si
avventava addosso, addentandogli il petto e lacerandogli gli abiti. Dopo una
drammatica lotta, il pastore riusciva a saltare sopra un muricciuolo e a
uccidere il lupo con una fucilata a bruciapelo».
L’episodio è ricordato anche nel volume La Valle Strona edito nel 1975, ma con una versione dei fatti
diversa. Infatti leggiamo: «... Proprio sulle montagne di Forno, fece la sua
apparizione l’ultimo lupo della valle, e delle valli vicine. All’alpe Campo,
sul confine con i monti dell’Ossola, nell’inverno 1929-30. Un alpigiano di
Forno, dopo l’inspiegabile uccisione di alcune pecore, trovò la belva nell’atto
di insidiare un ennesimo gregge. Il tempo di armarsi, un lento e faticoso
carosello all’inseguimento delle orme nella neve, infine due fucilate chiusero
per sempre un’antica partita sanguinosa». E ancora, in una nota a piede di
pagina: «Il coraggioso cacciatore si chiamava Giovanni Borghini. A Forno si
racconta ancora la sua straordinaria avventura. L’inseguimento della belva durò
24 ore. Avvistatala al Campo verso 1’imbrunire, ridiscese al Forno per cercare
le armi, ed un compagno. Salito di notte al Campo, alle prime luci dell’alba
iniziò la lunga corsa nella neve, seguendo le tracce del lupo, di montagna in
montagna. L’uccisione avvenne solo il pomeriggio, nei pressi dell’alpe
Mazzuchero, sulle pèndici del Pizzo Camino, ormai lontano da Forno, dove i due
erano giunti esausti».
Come però ricostruì Attilio De Matteis (ADM) raccogliendo i ricordi di Margherita e Dalmazio, moglie e figlio di Giovanni Borghini, il fatto si
svolse sul palcoscenico ossolano in un contesto del tutto fortuito e il lupo, una volta ucciso, fu
portato sul fondovalle, in frazione Rumianca, e poi a Pieve dentro una gerla. Una
scena dell’uccisione fu ricostruita per il fotografo, con il corpo del lupo
ingenuamente simulante una posizione “di attacco”, davanti alla casa del
Borghini, in località Casella.
L’animale fu poi affidato al signor Vincenzo Tapella
che lo fece imbalsamare da don Amedeo Ruscetta, il famoso "prete viperaio" di Croveo. In séguito fu esposto
nell’osteria del Tapella e dopo la sua morte fu donato alle scuole elementari
di Pieve, dove vi rimase per anni fino a quando nel 1995 venne recuperato dal
dottor Ermes Manfrinato del servizio veterinario dell’Usl, affidato ai Civici
Musei “G.G. Galletti” di Domodossola e da qui trasferito al Museo regionale di
Scienze Naturali di Torino che provvedette a un completo restauro per poi
restituirlo alla comunità ossolana.
Bibliografia
Gigi, Calata di lupi
sulle nostre montagne?, in “La Gazzetta del lago” del 22 gennaio 1927
An. Battute di gruppi
di cacciatori nella regione ossolana , in “La Gazzetta del lago” del 5
febbraio 1927
Copertina de “La Domenica del Corriere” del 30 gennaio 1927
La
valle Strona, Fondazione E. Monti, Anzola, 1975, p. 105.
ADM, Il lupo di
Mazucher, in “Eco Risveglio Ossolano”, 22 gennaio 1976, p. 11
G. Melloni, Il lupo di
Mazucher, in “Lo Strona”, 1, 31 marzo 1976, pp. 25-26
© Fabio Copiatti