giovedì 26 dicembre 2019

La festa del Tòc a Cossogno: la tradizionale "elemosina del pane"

Oggi a Cossogno, il paese delle mie origini, si è svolta la secolare festa del Tòc, con la distribuzione del pane benedetto. Tòc in dialetto significa pezzo, qui inteso come pezzo di pane.
La civiltà moderna si è purtroppo abituata a considerare il pane come presenza ovvia sulle tavole.
Il pane nel passato invece era un simbolo. Durante le cerimonie per i defunti, nell’antichissimo rito del pasto funebre, il pane accompagnava o non raramente sostituiva il sale, come sorta di “elemosina funebre”: nel Verbano e nell’Ossola esempi si ritrovano a Caprezzo e a Capraga di Premosello, ma innumerevoli sono i casi di legato testamentario per cui si prevede la distribuzione di alimenti, e di pane e sale in special modo, pro remedio animae, «per la salvezza dell’anima».
Il pane rappresentò sempre materia prima per l’offerta ai bisognosi; distribuzioni speciali venivano indette tipicamente una volta all’anno, ma qualche volta in due occasioni. In Valle Intrasca si narra che nel Seicento la pestilenza non abbia colpito i paesi di Intragna e Aurano ma si sia arrestata a fondovalle: «non avrebbe passato il Puntàsc, perché gli abitanti di quei paesi davano ul pàn caldàsc!, ossia compivano quelle doverose opere di misericordia verso il prossimo sofferente, necessarie ad ingraziarsi il favore divino e, quindi, a scongiurare l’avanzata del contagio». Assai documentata da vari storici locali (e tuttora praticata con trasporto e calorosa partecipazione degli abitanti) è per l’appunto la cosiddetta “Festa del Tòc” a Cossogno.

lunedì 16 dicembre 2019

La vera storia del lupo del 'Mazucher'

Dopo oltre novant’anni il lupo è tornato a frequentare le montagne della Val d’Ossola. Dall’uccisione dell’ultimo lupo, avvenuta all’alpe Mazzucchero nel 1927, il predatore era scomparso dai monti ossolani.
Per decenni, parlando e scrivendo della presenza storica di questo grande predatore, si citarono il “Lupo del Mazucher” e il suo giustiziere Giuvanin dul luv, immortalati da La Domenica del Corriere in una delle celebri copertine illustrate da Achille Beltrami.
Una storia quasi epica, questa, e come tale contesa tra due comunità, quella di Pieve e quella di Forno, in Valle Strona.
A tramandarla fino a noi hanno contribuito il breve racconto pubblicato dal settimanale milanese e i ricordi dei famigliari del Borghini, la moglie Margherita Rosetti e il figlio Dalmazio.
A queste narrazioni si aggiunge ora un articolo di cronaca poco noto, comparso a una settimana dal fatto su un giornale locale, La Gazzetta del lago, a firma GIGI, che aggiunge qualche particolare fino ad ora sconosciuto.

La copertina de "La Domenica del Corriere" dedicata all'uccisione del lupo del "Mazucher"


Leggiamo insieme quel che raccontò ai suoi lettori il giornalista del periodico intrese.
«La nostra breve storia del lupo e del pastore si è avverata sopra Pieve di Rumianca, nel versante ossolano del sistema che ha per culmine il Pizzo Camino: un gigante altissimo, dominante, fra la valle Anzasca, coi ghiacciai di Macugnaga, e la Val d’Ossola [...]».
È la mattina del 14 gennaio, di venerdì, quando il pastore Borghini Giovanni di Vincenzo e Francioli Maria, nato il 6 dicembre del 1898, abitante in località Pieve, nel Comune di Rumianca (che nel 1928 divenne Pieve Vergonte), decide di salire alla sua baita sita all’alpe Mazzucchero, un pascolo a 900 metri di altezza. Procede lentamente, aiutandosi con un bastone per non scivolare sul terreno ghiacciato e con «il fucile a tracolla, carico a mitraglia, per difendersi dalle bestiacce». E difatti scorge, lungo il sentiero, sulla neve che ricopriva i circostanti pianori, «tracce disordinate del vagare di un quadrupede».
«Si teneva accorto, ma non in attenti, perché l’estensione bianca consentiva alla vista di spaziare e scandagliare tutta l’ampiezza».
Giunto verso le ore 9 sulla soglia dell’uscio semiaperto della baita, Giovanni Borghini appoggia il bastone al muro e si accinge a entrare con l’idea di accendere il fuoco. Mai avrebbe pensato di vedere, accoccolato in un angolo della stalla, un grosso lupo! Sopresa e terrore lo paralizzano: «La bestiaccia balza verso la porta della baita, contro l’importuno arrivato. Non spaventa soltanto; perché agisce. Ritta sulle zampe posteriori, assalisce il pastore, colle altre due zampe, agisce; il Borghini riporta, frattanto, con la lacerazione della camicia e della maglia, graffiature al petto, sotto il collo. Il fucile, perché a tracolla e perché la bestiaccia è a contatto, carne contro carne, è un oggetto, sul momento, ingombrante. Non c’è da gridare, come il pastore di Esopo, lupus adest, perché non risponderebbe nemmeno l’eco, rivestito com’è – il luogo del suplizio – di soffice innocente neve».
L’uomo, però, non si dà per vinto. Riagguanta il bastone e sferra sul capo dell’animale una dirompente randellata che lo abbatte per un istante. Poi, di scatto, corre su retro della baita che, per un rialzo, ha il tetto quasi a filo del terreno. Vi sale sopra ma a stento, perché il lupo, ripresosi dal colpo infertogli, lo ha rincorso, riuscendo a raggiungerlo e ad addentargli la cavigliera da alpino che gli fascia la gamba.
Borghini è ormai ritto sul tetto, col fucile spianato verso il basso. Spara un colpo, due, tre: «La bestiaccia è a terra appena sotto il tetto, ma non vede più il pastore perché le schegge della mitraglia le hanno violato il muso e rotto le pupille». Altri tre colpi sul bersaglio ormai immobile e un rivolo di sangue arrossa la neve. Il lupo stringe i denti su un panno grigio: la fascia del pastore. Un ultimo respiro e il buio.

Giovanni Borghini e il lupo del Mazucher
Il cronista che pochi giorni dopo riportò i fatti su La Gazzetta, vide la carcassa dell’animale: «Pare un cane domestico, ma non è un cane; il colore è rossiccio, ad ondeggiamenti quasi neri, non molto dissimile dal colore del pelo dei domestici cani lupi; ma codesto pelo è irsuto, punto arricciato, alquanto più molle del soprabito del riccio spinoso ma alquanto più duro del pelo dei cani. È della spessezza di uno spillo di media dimensione. Grugno aguzzo, ma breve. Lungo da m 1.30 e 1.40; lingua spessa quasi un centimetro, coda tozza, di volume volpino. […]. Narrano gli anziani, che da diverse decine di anni, non si è notato la presenza di lupi nelle valli. Il soggetto potrebbe provenire, attraverso il Monte Rosa, dalla valle di Aosta, cacciato dal freddo, per avviarsi verso i colli di questo Lago Maggiore. Ovvero, provenire clandestinamente, e senza passaporto, in barba alle leggi fascistissime, dalla vicina Confederazione Svizzera. La bestiaccia è di sesso maschile».
L’aggressione e la conseguente uccisione del lupo non passarono inosservate. Sospettando che il lupo avesse una compagna, schiere di «volenterosi cacciatori» organizzarono battute «nell’intento di avere il bene di palpeggiare il pelo della lupa».
La Gazzetta del 5 febbraio titolava: Battute di gruppi di cacciatori nella regione ossolana: «La notizia dell’invasione di branchi di lupi nelle regioni dell’Ossola e del Cusio, e quella dell’uccisione di una belva in quel di Macugnaga, avevano messo in allarme gli abitanti di quelle zone, e numerosi gruppi di cacciatori iniziarono coraggiose battute. Si dice che un secondo lupo sarebbe stato colpito e ferito da un cacciatore; d’altra parte si afferma che da alcuni giorni nessun lupo è stato avvistato sia nell’Ossola che nel Cusio».
Com’è noto, la vicenda ebbe eco anche sulla stampa nazionale. La Domenica del Corriere del 30 gennaio 1927 gli dedicò la copertina. Dice la didascalia: «Un cattivo incontro in montagna. Un pastore, certo Borghini, giunto alla porta di una baita, fra le valli Anzasca e d’Ossola, scorgeva un lupo, che subito gli si avventava addosso, addentandogli il petto e lacerandogli gli abiti. Dopo una drammatica lotta, il pastore riusciva a saltare sopra un muricciuolo e a uccidere il lupo con una fucilata a bruciapelo».
L’episodio è ricordato anche nel volume La Valle Strona edito nel 1975, ma con una versione dei fatti diversa. Infatti leggiamo: «... Proprio sulle montagne di Forno, fece la sua apparizione l’ultimo lupo della valle, e delle valli vicine. All’alpe Campo, sul confine con i monti dell’Ossola, nell’inverno 1929-30. Un alpigiano di Forno, dopo l’inspiegabile uccisione di alcune pecore, trovò la belva nell’atto di insidiare un ennesimo gregge. Il tempo di armarsi, un lento e faticoso carosello all’inseguimento delle orme nella neve, infine due fucilate chiusero per sempre un’antica partita sanguinosa». E ancora, in una nota a piede di pagina: «Il coraggioso cacciatore si chiamava Giovanni Borghini. A Forno si racconta ancora la sua straordinaria avventura. L’inseguimento della belva durò 24 ore. Avvistatala al Campo verso 1’imbrunire, ridiscese al Forno per cercare le armi, ed un compagno. Salito di notte al Campo, alle prime luci dell’alba iniziò la lunga corsa nella neve, seguendo le tracce del lupo, di montagna in montagna. L’uccisione avvenne solo il pomeriggio, nei pressi dell’alpe Mazzuchero, sulle pèndici del Pizzo Camino, ormai lontano da Forno, dove i due erano giunti esausti».
Come però ricostruì Attilio De Matteis (ADM) raccogliendo i ricordi di Margherita e Dalmazio, moglie e figlio di Giovanni Borghini, il fatto si svolse sul palcoscenico ossolano in un contesto del tutto fortuito e il lupo, una volta ucciso, fu portato sul fondovalle, in frazione Rumianca, e poi a Pieve dentro una gerla. Una scena dell’uccisione fu ricostruita per il fotografo, con il corpo del lupo ingenuamente simulante una posizione “di attacco”, davanti alla casa del Borghini, in località Casella.
L’animale fu poi affidato al signor Vincenzo Tapella che lo fece imbalsamare da don Amedeo Ruscetta, il famoso "prete viperaio" di Croveo. In séguito fu esposto nell’osteria del Tapella e dopo la sua morte fu donato alle scuole elementari di Pieve, dove vi rimase per anni fino a quando nel 1995 venne recuperato dal dottor Ermes Manfrinato del servizio veterinario dell’Usl, affidato ai Civici Musei “G.G. Galletti” di Domodossola e da qui trasferito al Museo regionale di Scienze Naturali di Torino che provvedette a un completo restauro per poi restituirlo alla comunità ossolana.


Bibliografia

Gigi, Calata di lupi sulle nostre montagne?, in “La Gazzetta del lago” del 22 gennaio 1927
An. Battute di gruppi di cacciatori nella regione ossolana , in “La Gazzetta del lago” del 5 febbraio 1927
Copertina de “La Domenica del Corriere” del 30 gennaio 1927
La valle Strona, Fondazione E. Monti, Anzola, 1975, p. 105.
ADM, Il lupo di Mazucher, in “Eco Risveglio Ossolano”, 22 gennaio 1976, p. 11
G. Melloni, Il lupo di Mazucher, in “Lo Strona”, 1, 31 marzo 1976, pp. 25-26
F. Copiatti, Al lupo! Al lupo! Il ritorno del lupo in Ossola, in https://apassodivacca.blogspot.com, 8 febbraio 2019

© Fabio Copiatti

domenica 8 dicembre 2019

Lupi in Valle Intrasca: una tragedia di quattro secoli fa

Di lupi ho già scritto in questo blog l'8 febbraio 2019 (Al lupo! Al lupo! Il ritorno del lupo in Ossola), quando il "Network Lupo Alpi" confermò la presenza della prima coppia stabile di lupo del Verbano-Cusio-Ossola.
Torno a parlarne oggi, dopo che le indagini genetiche hanno confermato che i lupi vaganti sul territorio provinciale in primavera erano quattro e, soprattutto, a seguito di un nuovo avvistamento in alta Valle Strona, dove Matteo Cerini, figlio del proprietario di un gregge, è riuscito a riprendere l’attacco di alcuni lupi alle sue capre. Altra segnalazione è poi arrivata dalla Valle Anzasca, dove a Macugnaga, frazione Isella, il 5 dicembre sono stati visti 5 lupi.
Impossibile al momento avere un’idea del numero di lupi presenti sulle montagne della provincia del VCO, «Quello che sappiamo – ha spiegato Cristina Movalli dal Parco Nazionale Val Grande a VcoAzzurraTv – è che si muovono su un territorio molto ampio che va dalla Valle Strona all’Anzasca, si tratta di circa 250 km quadrati». Sono pericolosi per l’uomo? Istintivamente i lupi scappano prima dell’incontro con l'uomo, una presenza, quella umana, che loro riescono a captare ad ampia distanza. Per altro anche nella caccia la loro preferenza va all’animale selvatico prima che verso quello domestico. «Nel caso, non bisogna comunque mai cercare di avvicinarli, magari per fotografarli, o dar loro da mangiare» rimarca sempre Cristina Movalli.
Queste notizie, e soprattutto l’attacco al gregge di capre, mi hanno ricordato un fatto lontano, accaduto quattro secoli fa in Valle Intrasca e documentato da vetuste carte che ritrovai anni fa all’Isola Bella, presso l'archivio storico della famiglia Borromeo.


La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...