giovedì 28 febbraio 2019

Carnevali ottocenteschi a Cossogno e Trobaso

Oggi, giovedì grasso, ha avuto inizio il Carnevale. Le tradizioni legate a questa allegra e colorata festa, tanto cara ai bambini ma anche agli adulti, sono molte, alcune ancora in vita, altre ormai dimenticate. In ogni paese, fino a pochi decenni fa, si tenevano balli in maschera, si saliva sull’albero della cuccagna o si rompevano le pignatte. Inoltre – e questo è ancora attuale – si soddisfaceva l’appetito con polenta e salamini, ma anche trippa, spezzatino, merluzzo.
Molte città e paesi, poi, avevano – e hanno ancora oggi – i propri sovrani, re e regine del Carnevale. Altri hanno “regnato” per periodi più o meno lunghi e poi… scomparsi! Ad esempio, a Cossogno, il mio paese, chi si ricorda di Cossognino primo e della sua consorte Merie? E a Trobaso, che fine ha fatto Mastro Trobasino?
Ci aiutano a riportarli in vita alcuni articoli di giornale che mi piace proporvi. A voi la consueta buona lettura!

giovedì 21 febbraio 2019

Le streghe (e la fata) di Bieno: una leggenda dimenticata

Non c’è valle o paese delle Alpi che non abbia le sue streghe. In queste terre del Piemonte orientale sono molti i villaggi del Cusio ma soprattutto dell’Ossola che tra il XIV e XVI secolo hanno vissuto una vera e propria “caccia alle streghe” con innumerevoli processi messi in atto dai tribunali della Santa Inquisizione.
Non è però questa la sede per trattare un tema così vasto. A chi fosse interessato consiglio gli studi dello storico novarese Battista Beccaria che, con le sue ricerche d’archivio e i conseguenti saggi pubblicati su riviste e libri, ha portato alla luce l’ormai famoso processo alle streghe di Baceno e Croveo, ma anche tanti altri procedimenti giudiziari contro donne e uomini accusati di stregoneria.


Danza al Sabba dal "Compendium maleficarum" di F.M. Guaccio, 1626.

Tornerò però in seguito a parlare di guaritori e sospette streghe delle valli intrasche, riallacciandomi alle ricerche già pubblicate nel 2016 sulla rivista "Vallintrasche".
Quella che presento oggi è invece una leggenda “dimenticata”, non considerata da precedenti studi di folclore e raccolte di leggende verbanesi.
Si tratta della “resa letteraria” di una narrazione orale tramandatasi per secoli a Bieno (San Bernardino Verbano) e, per nostra fortuna, pubblicata il 13 ottobre 1943 sul giornale La Gazzetta a firma R.A.D., iniziali del giornalista scrittore Rossi Alchieri Dante. Streghe e fate sono protagoniste di questa “saga” ambientata sulle rive del laghetto esistente in antico nella località che oggi è chiamata “La torbiera di Bieno”, luogo di noti ritrovamenti archeologici databili tra il Neolitico e l’età del Bronzo ma anche di grande interesse naturalistico, inserita tra le aree prioritarie per la biodiversità del Verbano-Cusio-Ossola.

sabato 16 febbraio 2019

"Ama Dio e non fallire...": da Roma a Cossogno (o viceversa?) nella ricorrenza della morte di Giordano Bruno

A Roma il 17 febbraio dell’anno del Signore 1600 un frate domenicano viene prelevato dal carcere di Tor di Nona, dove giorni prima era stato richiuso. Le cronache dell’epoca raccontano che «fatti chiamare due Padri di san Domenico, due del Giesù, due della Chiesa Nuova e uno di san Girolamo, i quali con ogni affetto et con molta dottrina mostrandoli l'error suo, finalmente stette sempre nella sua maladetta ostinatione, aggirandosi il cervello e l'intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinatione, che da' ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, acompagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le letanie, e li confortatori sino a l'ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita».
Questo frate rispondeva al nome di Giordano Bruno, giustiziato per la sua concezione filosofica considerata eretica.

Palo del Supplizio in Campo de’ Fiori in una stampa del 1700. A destra s'intravvede la fontana della Terrina

lunedì 11 febbraio 2019

Le leggende valgrandine nelle cartoline di Mario De Micheli

Ci sono uomini che scivolano nell’oblio, senza particolare motivo e ancor più inspiegabilmente se in vita hanno goduto di una qualche fama.
Alcuni di loro sono stati al centro delle mie ricerche: ripenso all’ecclesiastico cossognese Martino De Velate che nel Verbano e nell’Ossola tra Trecento e Quattrocento si distinse per carriera (arrivò ad essere vicario vescovile) e numero di figli (quattro sono quelli che conosciamo perché citati su vecchie pergamene); ai pittori caprezzesi Baldassare e Serafino Verazzi, padre e figlio, di cui del primo quest’anno ricorre il bicentenario della nascita; alla guida alpina d’Intragna Antonio Garoni, protagonista del libro che dà il titolo a questo mio blog.

Non contento, già da qualche anno sono sulle tracce di un altro di questi illustri personaggi dimenticati, M. De Micheli, pittore e illustratore (oltre che editore) di cartoline. Ho scritto, volutamente, solo l’iniziale perché sembra che di costui fino a 2 anni fa nessuno più ricordasse neppure il nome di battesimo. Così è citato, M. De Micheli, ogniqualvolta una sua cartolina – famose sono quelle dedicate alle leggende dei monti verbanesi – è stata pubblicata su carta stampata o web.

venerdì 8 febbraio 2019

Al lupo! Al lupo! Il ritorno del lupo in Ossola

Benvenuto lupo? Mi piace iniziare queste brevi note storiche con la stessa domanda posta in apertura del catalogo di “Tempo di lupi. La storia di un ritorno”, mostra esposta al castello di Vogogna e realizzata nell'ambito del progetto Life WolfAlps conclusosi lo scorso anno, progetto (e mostra) a cui ho collaborato tra il 2013 e il 2018.

Ieri, 7 febbraio 2019, è stata ufficializzata dal "Network Lupo Alpi" la presenza in Valle Strona e in Bassa Ossola della prima coppia stabile di lupo del Verbano-Cusio-Ossola, a dieci anni di distanza dall’arrivo in Ossola della prima pioniera, la femmina F31, rimasta poi senza discendenza e a otto anni dal rinvenimento del cadavere di un maschio di circa due anni, recuperato nel gennaio del 2011 sulla massicciata della ferrovia a Prata di Vogogna (e ora esposto, con altri esemplari imbalsamati, nel Castello di Vogogna).

Colgo questa occasione per riprendere alcune note storiche già pubblicate negli scorsi anni.

mercoledì 6 febbraio 2019

Pianezza di Prata a tre anni dalla sua (ri)scoperta

Sabato 6 febbraio 2016, un'attenta e preparata escursionista, Barbara Cerutti di Pallanzeno, durante una passeggiata sui monti sopra il paese di Prata, frazione del comune di Vogogna, nota al margine del piccolo nucleo rurale di Pianezza una serie di grandi pietre, fitte nel terreno, che subito le ricordano i “menhir” di Montecrestese. Invia a me e a Elena Poletti Ecclesia, archeologa, le foto scattate quel giorno.

Barbara Cerutti (a destra) ed Elena Poletti al fianco di uno dei "menhir" di Pianezza


Con Barbara ed Elena andai a Pianezza il 10 febbraio 2016, in un soleggiato pomeriggio invernale. Vi si giunge seguendo la strada consortile che sale dal fondovalle o uno dei due sentieri ancora in uso che dai paesi sottostanti s’inerpicano verso l’alto. Poche case, alcune ristrutturate, altre in abbandono, ruderi e resti di murature “a spina di pesce” (l’antico opus spicatum romano ancora in uso nel medioevo), e tutto intorno il bosco che nasconde le molte roncature, esili campicelli terrazzati che con regolarità “addolciscono” il ripido versante della montagna.
Proprio nell’ampio prato affacciato sulla piana del Toce e su alcuni terrazzi che degradano verso valle sono infissi nel terreno dei grossi monoliti apparentemente disposti con casualità, non allineati come spesso capita di vedere nel caso di sostegni per filari di vite.
L’intervento dell’uomo in questa zona, come in altre dell’Ossola, crediamo si debba far risalire all’epoca della prima colonizzazione, durante il lungo periodo in cui i versanti solatii della valle furono adattatati alle coltivazioni, quando agricoltura e pastorizia erano le attività principali dell’economia ossolana.


Gli affreschi di Pianezza (Archivio Associazione culturale Ossola Inferiore)


Per secoli Pianezza fu un centro abitato tutto l’anno, già ricordato nel 1395 in un documento riguardante la chiesa di S. Giovanni Battista di Cuzzego, il cui fabbriciere stava, per l’appunto, a “Pianezzo” di Prata. Qui la tradizione vuole che esistessero una chiesa e un cimitero, come successivamente ci raccontò Luigi Manera dell'Associazione culturale Ossola Inferiore, da noi interpellato nella speranza di rintracciare foto d’epoca del luogo e con il quale tornammo una seconda volta sui monti Pratesi. Della chiesa, intitolata a Santa Caterina, sopravvissero alcuni affreschi databili alla seconda metà del XV secolo, ora irrimediabilmente perduti, e forse un architrave contrassegnato da un’incisione alberiforme sovrastata dalle insegne dei Ferrari, famiglia di fede ghibellina: incudine, martello e tenaglia.



L'architrave inciso di Pianezza (Archivio Associazione culturale Ossola Inferiore)


Con Elena scrissi un articolo dal titolo A Pianezza di Prata: note archeologiche tra menhir e affreschi scomparsi, poi pubblicato sulla rivista Almanacco Storico Ossolano 2017.
Oggi Barbara Cerutti è tornata alla “sua” Pianezza, ai “suoi" menhir, alle “sue” coppelle. Però non ha trovato il muro “a spina di pesce”, andato perduto per sempre in un crollo accidentale o, forse, a causa di una maldestra opera di “restauro”.
Era solo un muro come tanti altri? No, con le sue pietre disposte “a spina di pesce”, ci dava un ulteriore indizio utile a datare questo complesso di edifici all'epoca medievale.
No, non era solo un muro, con gli altri resti murari denunciava l’esistenza in antico di strutture di cui nelle vedute aeree si percepisce la complessa articolazione, che solo potrebbe essere chiarita attraverso indagini archeologiche.
Chissà se un domani il gruppo di persone che ancora anima Pianezza nei fine settimana e d'estate saprà valorizzare queste testimonianze dell’antica Ossola? Io sono convinto di sì.

Il tratto muro con, al centro, le pietre disposte "a spina di pesce"

Bibliografia

F. Copiatti, E. Poletti Ecclesia, A Pianezza di Prata: note archeologiche tra menhir e affreschi scomparsi, in Almanacco Storico Ossolano 2017, pp. 173-204.
T. Bertamini, Da Cuzzego a Prata. Appunti storici, in Oscellana XXVII, n. 1 gennaio-marzo 1997, pp. 6-17.

© Fabio Copiatti

martedì 5 febbraio 2019

Nevica, buoni pensieri (e buona lettura) a tutti!

Quando nevica - e non sono in ufficio, costretto davanti a un pc - non riesco a far altro che osservare il paesaggio che s'imbianca. Osservare e pensare. La neve da sempre mi porta buoni pensieri e, di questi tempi, ne ho proprio bisogno. Da qui lo stimolo a rendere pubblico questo blog, in gestazione da anni, così da condividere con altri pensieri, racconti e frammenti di storia, editi e inediti, dedicati terre e acque lepontine, tra lago Maggiore e valli ossolane.
Buona lettura!

(foto: Via Crucis a Cossogno)

“Animati da spirito religioso e generoso pensiero”

Ricordi di cappelle devozionali e immagini miracolose tra Vigezzo e Val Grande


Da ragazzo appartenevo a una famiglia dalla forte devozione mariana. Come sovente capita nelle terre ossolane e verbanesi, era nostra consuetudine recarci ogni anno al santuario della Beata Vergine del Sangue, in Valle Vigezzo. Ricordo la prima volta in cui, ancora bambino, salii a Re e ascoltai dal rettore Padre Gaspare Uccelli il racconto del miracolo avvenuto il 29 aprile 1494, quando l'immagine della Madonna, dipinta sotto il portico della chiesa parrocchiale di Re, venne colpita alla fronte da una piodella, scagliata, in un momento d’ira, da un uomo ignorante, non consapevole del gesto. In quel lontano giorno il sangue sgorgò dalla fronte di Maria. E fu miracolo, sangue che a fiotti scorse per settimane e le cui tracce si conservarono, ben visibili, per le migliaia di pellegrini che negli anni e secoli successivi accorsero implorando nuove grazie.

lunedì 4 febbraio 2019

A passo di vacca: il libro


Nel maggio del 2018 è stato dato alle stampe "A passo di vacca. Dalla Val Grande alle valli ossolane con Antonio Garoni (1842-1921), la guida alpina che tracciò il Sentiero Bove".
Le numerose presentazioni pubbliche (ricordo le tre tenute a Verbania e quelle di Santa Maria Maggiore, Vogogna, Intragna, Bée, Caprezzo...) ma anche le segnalazioni su giornali e riviste (importanti quelle su "Montagne 360" e "Meridiani Montagne") e il supporto di molti librai, hanno fatto sì che la prima edizione del libro sia andata è esaurita a soli 6 mesi dalla sua uscita. A tutti coloro che hanno acquistato, letto, regalato il libro va la mia gratitudine.

A chi invece non conosce "A passo di vacca" propongo il prologo e poche righe di presentazione.

Prologo

I ragazzi accorsero festanti intorno al tavolo illuminato da una lucerna a petrolio. Lui continuò a mangiare, incurante degli spintoni e delle domande dei piccoli ammiratori. C’era chi osservava curioso i suoi grandi mustacchi dai riflessi argentei, chi invece il distintivo portato con onore sul bavero della giacca. Il cappello di feltro era appoggiato sul tavolo a fianco dell’immancabile fiasco di vino.
Ormai era abituato a queste fanciullesche manifestazioni d’affetto, un po’ meno a quelle di riconoscenza e stima tributategli dagli adulti. Qualche volta gli era capitato di accompagnare sui monti verbanesi i figli della borghesia intrese, “passeggiate scolastiche” le chiamavano. Con i loro genitori, invece, percorreva le vie più ardite, come il “suo” Sentiero Bove che anni prima, tra il 1887 e il 1894, aveva tracciato su incarico del Club Alpino Italiano, Sezione Verbano.
«Antonio Garoni, la miglior Guida Alpina del Verbano»: lo aveva letto sui giornali e sentito affermare dai suoi clienti, ma lui, ogni volta, si scherniva. Sapeva di essere bravo, ma da qui ad essere il migliore... Le sue origini erano umili, figlio di contadini e a sua volta contadino. Neppure nei sogni di bambino avrebbe mai pensato di arrivare, un giorno, ad essere così stimato.

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Presentazione

Tra il 1842 e il 1921 visse a Intragna un uomo, Antonio Garoni, contadino e guida alpina, che fu «artefice bravissimo di quell’opera grandiosa», il Sentiero Bove, «principe dei sentieri alpini», prima via ferrata delle Alpi italiane. Egli fu per trent’anni solerte collaboratore, compagno e amico, dei soci della Sezione Verbano del Club Alpino Italiano. Concorse nella costruzione dei Rifugi Pian Cavallone, Pian Vadaà e Bocchetta di Campo. Fabio Copiatti tenta di tracciarne un profilo attraverso i resoconti giornalistici delle sue imprese e soprattutto delle tante escursioni alpinistiche alle quali partecipò come guida alpina. Il libro porta alla scoperta di quelli che possono apparire come singoli episodi di una vita intensa e allo stesso tempo discreta ma che, legati tra loro, prendono la forma di un racconto che vede Garoni e il CAI Verbano protagonisti lungo i sentieri della Val Grande, oggi parco nazionale, e di altre valli tra Ossola e Verbano.

Il libro si può trovare ancora in vendita a:

 MILANO
- Libreria Hoepli (anche on line)...
- Libreria Monti in città (anche on line)
TORINO
- Libreria La Montagna (anche on line)
VERBANIA
- Libreria Alberti
- Libreria Mondadori
- Libreria Libraccio
GRAVELLONA TOCE
- Libreria Libraccio
OMEGNA
- Libreria Ubik
OSSOLA/PREMOSELLO CHIOVENDA
- Edicola tabaccheria Lucia Borella.


Editore: Azimut (Verbania)
Anno edizione: 2018       
Pagine: 112 p., ill. , Brossura

ISBN 978-88-942962-0-4

La storia di Antonio Garoni, la guida alpina che a fine Ottocento progettò e realizzò il Sentiero Bove, prima Alta Via delle Alpi italiane, vi aspetta in libreria!





La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...