giovedì 21 febbraio 2019

Le streghe (e la fata) di Bieno: una leggenda dimenticata

Non c’è valle o paese delle Alpi che non abbia le sue streghe. In queste terre del Piemonte orientale sono molti i villaggi del Cusio ma soprattutto dell’Ossola che tra il XIV e XVI secolo hanno vissuto una vera e propria “caccia alle streghe” con innumerevoli processi messi in atto dai tribunali della Santa Inquisizione.
Non è però questa la sede per trattare un tema così vasto. A chi fosse interessato consiglio gli studi dello storico novarese Battista Beccaria che, con le sue ricerche d’archivio e i conseguenti saggi pubblicati su riviste e libri, ha portato alla luce l’ormai famoso processo alle streghe di Baceno e Croveo, ma anche tanti altri procedimenti giudiziari contro donne e uomini accusati di stregoneria.


Danza al Sabba dal "Compendium maleficarum" di F.M. Guaccio, 1626.

Tornerò però in seguito a parlare di guaritori e sospette streghe delle valli intrasche, riallacciandomi alle ricerche già pubblicate nel 2016 sulla rivista "Vallintrasche".
Quella che presento oggi è invece una leggenda “dimenticata”, non considerata da precedenti studi di folclore e raccolte di leggende verbanesi.
Si tratta della “resa letteraria” di una narrazione orale tramandatasi per secoli a Bieno (San Bernardino Verbano) e, per nostra fortuna, pubblicata il 13 ottobre 1943 sul giornale La Gazzetta a firma R.A.D., iniziali del giornalista scrittore Rossi Alchieri Dante. Streghe e fate sono protagoniste di questa “saga” ambientata sulle rive del laghetto esistente in antico nella località che oggi è chiamata “La torbiera di Bieno”, luogo di noti ritrovamenti archeologici databili tra il Neolitico e l’età del Bronzo ma anche di grande interesse naturalistico, inserita tra le aree prioritarie per la biodiversità del Verbano-Cusio-Ossola.

Il territorio di Bieno in una foto aerea del 1956. In azzurro ho evidenziato la zona della torbiera

Il laghetto delle saghe

Percorrendo la bella e pittoresca strada carrozzabile che da Fondotoce conduce a Bieno ed in Val Grande, ad un certo punto il viandante ignaro trova un piccolissimo lago esclusivamente creato dall'acqua piovana. Un laghetto lungo poche decine di metri e largo presso a poco com'è lungo.
Nei periodi di grande siccità, questo lago in miniatura rimane prosciugato e nel suo fondo melmoso guazzano i batraci mentre nugoli di zanzare sorvolano la superficie acquitrinosa. Di giorno un silenzio opprimente grava attorno al laghetto e unico segno di vita è costituito dal canto lontano di qualche contadinella di Cavandone o di Bieno. Serpi, ramarri, biscie innocue popolano le rive rivestite di una erbaccia color verde pallido.
Questa è la desolante visione del laghetto nei periodi estivi di grande siccità. In primavera e d'autunno nei periodi, cioè, delle grandi piogge, il minuscolo lago si riempie d'acqua, le rive sono pulite, miriadi di foglie e di fuscelli galleggiano sulla superficie verde-grigia come tante barchette di fanciulli. Non è più una visione desolante, ma un quadro pieno di vita e di serenità.
Questo curioso laghetto ha la sua brava leggenda e non per nulla lo chiamano il «laghetto delle saghe».
E’ una leggenda un po' truce ma molto interessante. Una volta, ai tempi delle Crociate e dei guerrieri vestiti di ferro, nelle vicinanze di Bieno abitava un piccolo esercito di streghe. Orrende megere dagli occhi cattivi e dai capelli nerissimi ed arruffati; spaventose figure più assomiglianti al demonio che a creature umane. I pochi rurali che costituivano la popolazione di Bieno ne erano semplicemente terrorizzati. Dopo l'Ave Maria nessuno poi si azzardava a rimanere fuori di casa e quando le streghe facevano sagra (e ciò accadeva una volta al mese) si udivano frastuoni orrbili e versacci da far accapponare la pelle.
Un giorno passò nel paese una bellissima giovanotta dagli occhi neri e dai capelli turchini. Doveva essere una fata perché quando seppe da quella povera gente dell'esistenza di un gran numero di streghe disse semplicemente: «Ci penso io a farle sparire». La sera stessa, la bellissima fanciulla si recò sul luogo delle saghe, tranquilla e serena. Una decina di minuti dopo, la gente di Bieno, che era tutta in piazza, notò un gran urlìo al quale fece seguito un profondo silenzio.
Poi apparve la piccola e graziosissima fata, serena e sorridente come prima. «Le streghe non ci sono più; sono fuggite verso il laghetto e lì sono annegate». La fanciulla scomparve e le streghe non si videro più .
Questa la leggenda, ognuno è padrone di sorridere e di ironizzare sulla ingenuità della stessa.
L'aspetto di questo piccolissimo lago... stagionale ha però un qualche cosa di strano, di enigmatico che induce a meditare ed a fantasticare. La terra verbanese, del resto, è ricca di questi luoghi misteriosi ove il viandante forestiero si sente come avvinto da un’indefinibile ansia. Voci misteriose ed arcane che cantano il fascino di luoghi in cui la natura si è sbizzarrita a creare visioni prestandosi ai più inverosimili voli della fantasia.
Ecco il «laghetto delle saghe» in un dolce tramonto di questo ottobre sorridente di sole e di azzurro. L'acqua ha un colore tra il bruno ed il vermiglio. Cantano le villanelle che fanno vendemmia o raccolgono castagne. Lassù le case di Cavandone ricevono la carezza palpitante degli ultimi raggi di sole. Fra poco vi sarà il crepuscolo e quindi scenderà la notte, la notte in montagna così paurosa eppur così bella. Ed il «laghetto delle saghe» sparirà nel buio con i suoi segreti e le sue voci arcane.




Bibliografia
R.A.D., Il laghetto delle saghe, in La Gazzetta, 13 ottobre 1943, p. 4.
F. Copiatti, «Vi è abuso di segnare le persone, et animali con parole vane, et superstiziose». Guaritori e sospette streghe nelle terre delle valli intrasche, in Vallintrasche 2015-2016, pp. 29-37.
Tra i tanti studi di Battista Beccaria consigliamo il recente La stregoneria in Ossola da metà Quattrocento al principio del Seicento, in Le Streghe sulle Alpi dell'Ossola, 2017, pp. 81-198.
E. Poletti, Bieno e San Bernardino Verbano: dalle palafitte preistoriche alla romanità, in Vallintrasche 2013, p. 8.

© Fabio Copiatti

Nessun commento:

Posta un commento

La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...