Rosina procede con passo regolare, apparentemente senza fatica, nonostante il pesante carico.
La immagino, quasi la seguo con lo sguardo, mentre s’allontana da Colloro, il suo villaggio, un centinaio di case rustiche e grezze come la pietra e il legno con cui sono costruite.
Il paese è adagiato su un pianoro assolato che domina la bassa valle della Toce. Tutt’attorno, dove il versante degrada, chilometri di muri a secco disegnano un paesaggio di terrazzi coltivati, prati e castagneti.
Da qui si sale, verso i monti al confine tra Ossola e Val Grande, in cammino tra alpeggi disseminati in boschi e pascoli, utili solo a sopravvivere.
Rosina è una contadina poco più che ventenne, dal corpo robusto ma aggraziato, nascosto nell’ingombrante veste. La indossa con disarmante naturalezza senza che sia da ostacolo al suo progredire lungo ripidi e tortuosi sentieri.
Nel gerlo che grava sulle spalle, oltre alle vettovaglie che lascerà all’alpe, hanno trovato spazio anche i viveri di chi le pagherà la giornata.
Quattro alpinisti milanesi la seguono silenziosi, ma fiduciosi nel fatto che questa volta la meta sarà raggiunta, dopo il precedente fallito tentativo. Osservo anche loro, per niente a disagio su questi scabri e scoscesi sentieri, avvezzi a ben altre ascensioni.
Rosina è una portatrice di fine Ottocento, così erano chiamate le alpigiane disponibili ad accompagnare i soci CAI nelle loro gite alpine… ma è anche la compagna di questa mia escursione, prima immaginata, poi desiderata e infine negata da questa tragica e interminabile pandemia.
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La Colma di Premosello. Al centro la Cima della Rossola |