domenica 26 gennaio 2020

Guai a chi dimentica! L'orrore dei Lager nazisti nella testimonianza di un reduce

Nel 1948 il giornale "Risveglio ossolano" pubblica una lettera inviata da un medico alla giovane sorella di un suo amico. Chi firma la missiva, tale "Dr. Jean della resistenza", è Giovanni Aliberti, classe 1916, torinese di nascita, antifascista della prima ora, partigiano. L'amico è Arturo Belgrando, classe 1900, nato a Demonte, provincia di Cuneo, anch'egli partigiano.
Il documento risale probabilmente a due anni prima, da quel che risulta negli archivi della Fondazione Istituto torinese Antonio Gramsci dove è conservata una missiva così catalogata: "Gentile signorina Beltrando, Le chiedo anzitutto scusa del ritardo nel risponderle...: Rosenhugel - Davos-Platz (Suisse), 17 août 1946 / Giovanni Aliberti, 1946. - 14 p. (cfr.: 1, 36)".
Cosa accomuna questi due uomini? La lotta partigiana e la deportazione nei campi di concentramento nazisti. Il destino non è però lo stesso: Arturo muore a pochi giorni dalla Liberazione, Giovanni riesce a sopravvivere. Il 13 luglio 1945 è trasportato in Francia. Qui è assistito e curato per sei mesi e fornisce documentazione alla Commissione interalleata per i crimini di guerra di Parigi. Ritornato in Italia il 1° gennaio 1946, è presto costretto a trasferirsi in Svizzera per nuove cure.
All'inizio del 1949 il medico rientra definitivamente in Italia e riprende la sua attività professionale. Forse dalla vicina Svizzera, nell'immediato dopoguerra il Dr. Jean, invia al Risveglio altri scritti a tema scientifico. Inoltre partecipa attivamente ad iniziative di beneficienza rivolte alla popolazione ossolana. Aliberti muore nel 1985.
In occasione del Giorno della Memoria, vi propongo integralmente la lunga lettera da lui scritta alla sorella di Arturo Belgrando. Non serve dire altro. Ogni commento sarebbe superfluo. Leggere, non dimenticare e vigilare, solo questo possiamo fare, affinché certi orrori non abbiano a ripetersi.
F.C.

----


Guai a chi dimentica!

Non è bene ricordare il male patito, perché l’esistenza ne resta imbevuta di rancore; ma è delitto dimenticare le sofferenze di chi ha sacrificato libertà, salute e gioventù per salvarci da quegli obbrobri che non si devono assolutamente ripetere.
Chi meglio può dircelo di un deportato, reduce dall’inferno della civiltà nazifascista, genio di crudeltà e di infamie?
È lui, medico, che scrive per assolvere al più doloroso compito, quello di partecipare «il martirio» di un compagno, non tornato, ai suoi cari.


L'ingresso al Lager di Mauthausen

venerdì 24 gennaio 2020

L’Uomo selvatico ossolano a Dresio per il Carnevale di Vogogna del 1914

Nel novembre del 2018 veniva messo on line il sito internet di Comuniterrae, progetto culturale partecipato di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale delle "terre di mezzo" di dieci Comuni dell'Ossola e della Valle Intrasca, promosso dal Parco Nazionale Val Grande e Ars.Uni.Vco, contenente anche un archivio di fotografie storiche recuperate e condivise dalle comunità coinvolte.
È stato nello “sfogliare” questa ricca e interessante raccolta di immagini che la mia attenzione è stata attirata da una foto che immortala tre personaggi di un carnevale ossolano, per la precisione scattata a Dresio di Vogogna nel 1914, due dei quali mascherati da quello che a mio avviso poteva rappresentare il leggendario Uomo selvatico delle Alpi.

Dresio, 1914. Sfilata carnevalesca.
A ridosso dei teli bianchi le due maschere rappresentanti l'Uomo selvatico
(foto archivio Roberto Baga, g.c.)


La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...