venerdì 7 gennaio 2022

Il teleforo della "Valle dell'Impossibile": cronache dell'anno 1901

In alta Ossola c’è una valle che si apre selvaggia alle spalle di Montecrestese. È conosciuta come la “Valle dell’impossibile” probabilmente perché, se osservata dal piano, appare così stretta e scoscesa da sembrare inaccessibile.
Ci si addentra da Altoggio, bel gruppo di antiche case in pietra adagiato sopra uno splendido e verde altipiano circondato da castagni secolari. Il torrente Isorno rumoreggia poco lontano.
Io ci sono stato una volta sola, circa vent’anni fa. Ricordo il lungo cammino da Altoggio ad Agarina, calcando quasi interamente la strada consortile che si inoltra all’interno di questa vallata. Il percorso si snoda tra boschi e prati, aprendosi poi su panorami mozzafiato.
A spiegare questo nome suggestivo esiste anche una leggenda raccolta da Adolfo da Pontemaglio (alias A. Sebastiano Ferraris, 1901-1954): «La semplicità del raccontare è quella propria delle buone alpigiane che le mandavano di generazione in generazione».
È la storia del Barba Stamegna. Costui era un misterioso abitatore della valle, a metà tra un pastore e un uomo selvatico (il mitico Om salvagh di cui ho già parlato in questo blog, che viveva in una specie di rifugio formato da macigni addossati l’uno sull'altro.

Contadine nella Val dell'Isorno, anno 1901

Le valle dell’impossibile

In quel tempo Domo era piccina, molto piccina; ma racchiusa entro solide mura le sembrava di essere grande, come le formidabili montagne che la circondano; perché ritenuta regina di sette valli. E i valligiani gareggiavano nel rendere omaggio alla loro regina: gli Anzaschini, ogni anno le inviavano oro prezioso e miele profumato del Monte Rosa; gli Antronini, ferro tenace e morbida lana; i Bognanchesi, burro aromatico e acque minerali; gli abitanti di Val Vedro, marmi pregiati e grassi camosci; gli Antigorini, frutte saporite e fontina di Formazza; i Vigezzini, quadri di famosi pittori e grosse patate; gli abitanti di vale d’Isorno, nulla.
Domo, temendo che si trattasse di una valle abitata da anarchici, che non volevano rendere l’omaggio dovuto alla sovrana corona di monti, inviò un plotone di forti soldati per indagare, e, se il caso, dichiarare senz’altro la guerra.
Con perfetta tattica militare il plotone si avanzò nella valle dell’Isorno, studiando passo, passo le posizioni strategiche, che potevano servire magnificamente in caso di guerra. Però non vedevano mai anima viva all’infuori delle lepri, che fuggivano via tra i cespugli spaventate dal rumore degli spigolatori.
— Che sia una valle deserta? — si domandavano di tanto in tanto i soldati, mentre si inoltravano per lo stretto sentiero, che costeggiava il torrente dalle acque schiumose.
Finalmente giunsero nella piazza verdeggiante di Agarina. All’ombra di cinque faggi colossali si nascondeva una specie di rifugio formato da macigni addossati l’uno sull’altro.
Il capo plotone s’avvicinò all’abitacolo e chiamò forte il padrone.
L’uscio di larice rosso scricchiolò sui cardini e dalla fessura fatta, fece capolino una testa più brutta di quella dell’Orco.
— Come vi chiamate ? — chiese il capo plotone.
— Barba Stamegna.
— Voi siete il proprietario di questa valle?
La testa accennò di sì.
— E perché non rendete l’omaggio dovuto alla Regina dell’Ossola?
— Impossibile, sono povero — rispose il vecchio facendo traballare i cinque gozzi che gli formavano corona.
— Non si tratta di gran che, basta che mandiate un vitello all’anno.
— Impossibile!
— Una capra, allora.
— Impossibile!
— Almeno un capretto, tanto per riconoscere la sudditanza.
— Impossibile!

Indignato, il capo plotone voltò le spalle, e Barba Stamegna serrò la porta.
— Gran tirchio quel vecchiaccio: è proprietario di tutta la Valle, possiede oltre duecento capi di bestiame grosso e un migliaio di pecore, eppure è avaro al punto di rifiutarsi di donare un capretto all’anno. Ma riferirò alla Regina e avrà la guerra e lo sterminio come si merita. Così ragionando il capo e i soldati ripresero la strada per Domo.
La Sovrana, sentito il rapporto dei militari circa le condizioni e la risposta data dal proprietario di Valle d’Isorno, ordinò di arrestarlo e condurlo in prigione. Armati di tutto punto, i soldati mossero alla cattura del vecchio Impossibile; ma con grande meraviglia lo trovarono morto sotto un faggio a pochi passi fuori di casa. Forse il timore di dover cedere un capretto all’anno gli aveva arrestato i battiti del cuore!
Tutta la proprietà dell’avaraccio venne assegnata al limitrofo comune di Montecrestese e d’allora in poi la pittoresca Valle d’Isorno fu chiamata Valle dell’Impossibile, quasi a ricordo della ripetuta risposta di Barba Stamegna.

Ma perché vi parlo di questa valle ricca di praterie, boschi e acque (sono ben undici i laghi presenti in Valle dell’Isorno)?
Anche in questo caso è stata la scoperta di alcune fotografie a stimolare le mie ricerche d’archivio.
Si tratta di una cartella contenente immagini del “Teleforo impiantato in Valle dell’Impossibile (Ossola) dalla ditta Righetti Gio. Battista fu Pietro d’Intra colla cooperazione del suo Capo boscaiuolo Minoggio Antonio”. Risalgono al 1901 e furono scattate dal Giovanni Ruggeri (1866-1921), fotografo dei lavori del costruendo traforo del Sempione.



Alcune di queste foto le avevo già ammirate sul libro “L’Ossola nella fotografia d’epoca”, edito nel 1996 da Grossi di Domodossola.
Ruggeri aveva il negozio e laboratorio nel capoluogo ossolano in Via Mattarella, nella sede del Palazzo Mantellini. Specializzato in “fotografia alpina”, teneva una succursale anche a Briga e, come dice il suo marchio di fabbrica, era il fotografo ufficiale dei lavori pel costruendo traforo del Sempione.
Luigi Righetti (1866-1904), invece, era un noto negoziante intrese, a capo di un’antica e importante azienda, a cui aveva dato un nuovo e vigoroso impulso. Era nato a Intra nell’aprile del 1866 da Giovanni Battista e Marianna Restellini, sorella del compianto professore Lorenzo Restellini, medico militare nel reggimento Nizza Cavalleria e poi docente di Anatomia umana normale e direttore dell’Istituto e Museo Anatomico dell’Università di Torino.
Luigi in giovanissima età rimase a capo dell’antica e rinomata segheria paterna, e seppe in breve, coll’assiduo lavoro e coll’intelligente intraprendenza, allargarne la cerchia degli affari, tanto che aveva impiantato a Masera un’importante segheria con macchinario moderno. Nel suo necrologio, apparso su La Vedetta del 30 gennaio 1904, si legge che «acquistò grossi boschi ed estese pinete e fu premiato all’Esposizione di Novara per un sistema di trasporto di grossi fusti da lui ideato e battezzato “teleforo” che impiantò nella aspra Valle dell’Impossibile».
Fu anche segretario della sezione Verbano del C.A.I. e ricoprì fino alla prematura morte importanti cariche cittadine. Sposatosi il 29 aprile 1895 con la cugina Carolina Righetti, ebbe da lei 5 figli, uno dei quali, l’amata Anna Maria, detta Mariannina, morto in tenerissima età.

Boscaioli nella Valle dell'Impossibile.
Seduto sul tronco, vestito di bianco, il titolare dell'impresa Luigi Righetti.


Ma torniamo alla “nostra” Valle dell’Impossibile. Luigi Righetti nel dicembre del 1897 si era aggiudicato dal Comune di Montecrestese il taglio di «n. 2497 piante del bosco di alto fusto radicato nella regione Valle Paiosa e limitrofe» al prezzo di lire 18781,13. (equivalenti a circa 86.000 euro).




Negli anni immediatamente successivi, incontrò notevoli difficoltà nel trasporto fuori valle dei tronchi tagliati. I giornali dell’epoca ne raccontano le vicissitudini e, soprattutto, la soluzione poi adottata, il cosiddetto “Teleforo”, di cui s’iniziò a parlare in occasione dell’Esposizione di Novara tenutasi nel 1901.
«All’Esposizione di Novara la nostra Ditta Righetti Gio. Battista fu Pietro, sì favorevolmente nota nel commercio del legname, ha esposto un modello di teleforo pel trasporto dei legnami dal bosco alla strada carreggiabile, corredandolo di fotografie e di una relazione.
Tale impianto, che non ha la pretesa di gareggiare con altri più importanti, ha però il merito della praticità e della mitezza di costo. Fu progettato dal titolare della Ditta sig. Luigi Righetti, coadiuvato dal capo-boscaiuolo Antonio Minoggio di Cursolo; e saremo ben lieti di darne un sommario cenno nel prossimo numero». (La Vedetta, 19 ottobre 1901)
E così fu: il 22 ottobre La Vedetta descrisse l’impresa di Luigi Righetti, premiata all’Esposizione di Novata con una medaglia in argento dorato .

Il teleforo in valle Isorno

Adempiendo la promessa fatta nello scorso numero, diamo qui alcuni dati interessanti su tale impianto.
La Ditta Righetti Giov. Battista fu Pietro di Intra, in persona del suo proprietario Luigi Righetti, acquistò nel 1898 dal Comune di Montecrestese (Ossola) un bosco di piante resinose nella regione chiamata Paiosa in Valle dell’Impossibile.
Il primo provvedimento a studiare fu quello del trasporto del legname ricavando, dovendosi fare la scelta fra i due metodi abitualmente usati: la flottazione cioè e la strada a gelo chiamata sovvenda.
Ma la flottazione è attualmente difficile ad ottenersi dalla vigile Autorità Forestale, per i gravi danni che essa arreca al letto ed alle sponde dei torrenti, i quali richiedono incessanti cure o rispetto tanto per la loro utilizzazione ad usi industriali, quanto per evitare i lamentati disastri al piano.
Indipendentemente da ciò, un altro gravissimo danno la flottazione presenta, dovendosi troncare i legnami (che originariamente hanno lunghezze sino a 20 e più metri, e che sono assai ricercati per sostegno di condutture elettriche) in pezzi da metri 3 a 6 e non più, perché possano venire trasportati dalle acque.
Quanto alla cosiddetta sovvenda, costituita da un canale costrutto dagli stessi boscaiuoli ed indurito con terra ed acqua, nel quale vengono fatti scivolare i legnami, la sua costruzione arreca anzitutto un grande consumo di legname, dovendosi sorpassare con ponti le parti franose delle sponde ed il suo funzionamento richiede, d’altra parte, un periodo di notevole abbassamento di temperatura, tanto da produrre il gelo.
Ora, la posizione di Valle Isorno esposta a mezzodì, la sua incassatura fra le due sponde, di cui una a picco, ben raramente permettono si verifichi tale indispensabile condizione: e di ciò si ebbe prova negli inverni 1898 e 1899.
Di fronte a tali difficoltà per l’adozione degli abituali mezzi di trasporto, la Ditta acquisitrice studiò allora l’impianto di un teleforo: e colla esperienza fatta in consimili impianti, benché ad una sola tratta con forte pendenza, eseguiti in Valle Antrona e Valle Antigorio, coadiuvata dal proprio Capo boscaiuolo Antonio Minoggio di Cursolo, la cui intelligente attività e solerzia è degna di encomio, poté vincere le molte e non lievi difficoltà d’un impianto teleforico di oltre 3100 metri di lunghezza.
Colla costante direzione del bravo Minoggio, dopo avere riparato ai gravi danni subiti dal violento nubifragio dell’Agosto 1900, che devastò parte dell’Ossola, reclamante ancor oggi radicali provvidenze, ed a quelli arrecati dalle valanghe cadute nel marzo dell’anno corrente, poté la Ditta Righetti vedere finalmente nello aprile 1901, coronati da completo successo i suoi sforzi, ed iniziare di primo acchito, e continuare con ben nove cariche, il regolare trasporto dei legnami col mezzo del teleforo.
Esso è costituito:
a) D’un cordone d’acciaio da trasporto, della lunghezza di m 3300, del diametro di millimetri 20, composto di 7 cordoli da 6 fili ciascuno: in tolale 42 fili d’acciaio aventi la resistenza di Kg. 130 ogni mm. quadrato
b) di una cordina d’acciaio per ritorno, pure della lunghezza di m. 3300, del diametro di mm 10, composta di 14 fili
c) d’altra cordina pure d’acciaio per freno girante, della lunghezza di ca. 6600, del diametro di mm 12, composta di 24 fili
d) di due volanti di ghisa del diametro, di metri 1.50, con gola ove gira la cordina di freno
e) di altri due volanti a gola doppia, ove sono applicati i freni, di cui. uno alla cima mediante piccolo volantino, l’altro alla stazione d’arrivo mediante leva a mano.
f) di 14 cavalletti dell’altezza da metri 10 a metri 27, distribuiti lungo il percorso, pel sostegno, a mezzo di pipe di ferro, del cordone portante e della cordina di ritorno
g) di una coppia di cetre di ferro per ogni cavalletto ove scorre la cordina di freno
h) di due rulli di legno forte piazzati all’arrivo, per tendere il cordone portante e la cordina di ritorno.

Il cordone e cordine, tutti d’acciaio, vennero forniti dalla Ditta Spadaccini Luigi di Milano.
Ecco, per sommi capi, quanto riguarda l’impianto del telefono, la cui potenzialità massima raggiunse i 150 carichi giornalieri. Ad esso debbonsi però aggiungere altri importanti lavori stradali.
Così, per arrivare alla strada Provinciale, si dovettero costrurre circa 300 metri di strada da boscaiuolo da bagno, con due ponti attraverso l’Isorno e Chilometri 3 1\2 di strada da carro, sempre lungo l’Isorno, con due ponti in legname gettati attraverso il torrente.
L’impianto, stato fatto senza pretese di novità, ma con concetti pratici ed economici, merita una parola di lode: e noi la scriviamo ben volentieri all’indirizzo di un nostro concittadino che ha saputo portare anche nelle remote valli ossolane l’ardimento e l’attività onde Intra va giustamente celebrata.



Foto, articoli di giornali e documenti fanno resuscitare avvenimenti e personaggi di unepoca lontana, oltre a (ri)scoprire una valle e luoghi poco conosciuti. Emerge così unecostoria ricca di informazioni, che racconta di boschi, sovende, teleferiche, boscaiuoli, mercanti e fotografi, ma anche di “portatrici”, contadine impiegate nel trasporto del materiale necessario all’allestimento del teleforo.


Ponte sull'Isorno. Vestito in bianco, Luigi Righetti.
Degli altri due uomini, uno potrebbe essere Antonio Minoggio

Tra i tanti protagonisti di questa impresa d’altri tempi, spicca Antonio Minoggio da Cursolo, “capo boscaiuolo” del Righetti.
Antonio Ferdinando Minoggio era nato il 10 ottobre 1868, figlio Giovanni fu Carlo e Minoletti Nicolina fu Giulio. Il 26 maggio 1889 Antonio, poco più che ventenne, sposò la compaesana Domenica Ippolita Minoletti, d’anni diciannove, figlia di Daniele e di Minoggio Maria Giovanna.
Antonio sul finire del secolo divenne capo boscaiolo della ditta G.B. Righetti. Per conto di Luigi Righetti presenziava alle aste di aggiudicazione dei boschi. A lui fu affidata anche la direzione della segheria di Masera. Nel paese ossolano Antonio Minoggio, dove risiedette per lunghi periodi, ricoprì cariche nella locale Società operaia e in altre istituzioni. Negli stessi anni - siamo all'inizio del’900 - fu eletto più volte nel consiglio comunale di Cursolo, dove per più mandati ricoprì la carica di sindaco.
Morì prematuramente nel 1915. La triste notizia rimbalzò da paese a paese, di valle in valle, e il suo funerale fece capire - se mai ce ne fosse bisogno - quanto fosse ben voluto.

Cursolo. Lutto. Chi avrebbe mai detto che la fibra robusta e forte del nostro amato sindaco, in pochi giorni dovesse essere fiaccata e divelta, nessuno lo avrebbe pensato. Eppure la falce inesorabile che nessuno perdona, ha colpito il buono ed amato ANTONIO MINOGGIO, nel fior degli anni, quando la famiglia sua tutto attendeva e si aspettava dalle energie esplicantesi dall' intelletto suo, dal suo amore affettuoso per la famiglia.
Morire a 46 anni è dura sorte e doloroso, eppure dovette soccombere, e non valsero le cure della moglie, dei famigliari, dell’arte sanitaria, dovette cedere pur sapendo che la sua dipartita era immatura.
Cursolo ha perso il suo primo cittadino, Masera un amico sincero, e le Ditte Crippa e Righetti che rappresentava un collaboratore che tutte le sue forze aveva dedicato al progresso dell'industria del legno in queste valli.
Il 14 corr. seguirono i suoi funerali nel suo paesello nativo, ed imponenti riuscirono per la partecipazione di ogni classe di cittadini fra i quali notammo il Presidente della Società Anonima Cesare Crippa cav. A. Frova venuto espressamente da Milano per assistere ai funerali, è la signora ved. Righetti. coi figli venuti da Intra, a rendere omaggio all' uomo integerrimo che per tanti anni lo rappresentavano.
Dei colleghi notammo il sig. Maino e Bona della Ditta Crippa con tutto il personale delle segherie di Masera e Malesco.
Notammo i signori Margaroli di Domo e Crevola, Miglia di Villadossola, molti sindaci dei Comuni della Valle Cannobina e della Valle Vigezzo e molti e molti altri di cui lungo sarebbe l'elencare, e tutti profondamente commossi, non credevano alla triste sventura.
La salma preceduta dalle Confraternite e dal clero era portata dagli intimi del paese, seguiva la Società Operaia di Masera con numerosa rappresentanza, vessillo ed una splendida corona, la Società Operaia di Falmenta pure con vessillo e numerosa rappresentanza, il Consiglio comunale con bandiera ed una bella corona, seguivano subito il feretro la famiglia con una grande corona portata dalla moglie stessa e da una figlia; altre corone seguivano della famiglia Righetti. Maino, Soc. An. Crippa, fratelli Margaroli e Miglia, degli operai di Masera e Malesco ed una folla immensa di cittadini provenienti dai paesi della Valle, da valle Vigezzo, Domodossola, Masera ed altri paesi più lontani.
Al cimitero dissero di Lui il sindaco di Finero sig. Cazzaniga, il sig. Bariletta Giuseppe da Finero anche a nome della Società Operaia di Masera e del comune di Masera, rappresentato dal sig. Giacomo Bevilacqua, sindaco, il geom. G.B. Mattei anche a nome del sig. Andrea Testore da Toceno, il sig. Piazza a nome della Soc. Op. di Falmenta, il sig. Dresti
Vittore da Spoccia, il cav. Cerutti, sindaco di Malesco, il sig. Mazza Vittore, da Gurro, il prof. Magistris da S. Maria per i comuni Vigezzini ed il segretario sig. Paolo Minoggio da Cursolo. Alla vedova signora Minoletti Domenica,
ai figli ed ai parenti tutti vadano da queste colonne le più vivide condoglianze per la perdita irreparabile del loro amato marito, padre ed amico nostro.
(Articolo pubblicato sul giornale “L’Indipendente” del 21 luglio 1915)


La famiglia di Minoggio Ferdinando Antonio e Minoletti Domenica di Cursolo.
Dietro la primogenita Lucia che sposò Clerici Giulio (detto Giacumot).

Gli altri figli sono, da sinistra, Giovanni, Luigi, Cesare il più piccolo e Maria.
 Lucia frequentò la scuola superiore al Rosmini di Domodossola
e Giovanni una scuola professionale.
(Foto gentilmente concessa da Margherita Pironi, pronipote del Minoggio)


Antonio Minoggio e la moglie Domenica Minoletti riposano nella cappella di famiglia costruita nel cimitero di Cursolo.


Bibliografia
P. Crosa Lenz, La Valle dell’Impossibile, in “Le Rive” 5/2004, pp. 69-73.
A. da Pontemaglio, Novelle e leggende ossolane. La Valle dell’Impossibile, in “Illustrazione ossolana” 4/1973, pp. 20-23.
R. Mortarotti, La Val d’Isorno, in “Illustrazione ossolana” 4/1961, pp. 14-17.
E. Ferrari, C. Pessina (a c. di), L’Ossola nella fotografia d’epoca, Grossi, Domodossola 1996.

Ringrazio Enzo Azzoni di Pallanza che mi ha fornito le immagini, Bruno Corti di Travedona Monate per la collaborazione nelle ricerche anagrafiche su Antonio Minoggio e Margherita Pironi per la foto e le informazioni fornite.

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