venerdì 15 dicembre 2023

“Sul Monte Marona eroicamente cadeva”: Fulvio Ziliotto, medico triestino, martire per la Libertà

Il 29 aprile del 2023 salii a Intragna, piccolo paese della verbanese selvaggia Valle Intrasca.
Cercavo un sepolcro, quello dell’alpinista, medico e partigiano Fulvio Ziliotto, che da Trieste venne a morire, per mano nazifascista, sul Pizzo Marona tra il 16 e il 17 giugno 1944.
Di lui avevo letto su “Il Verbano”. Ne parlò, nel 1996, Vanni Oliva in un breve articolo dal titolo “Genitori nella tragedia”:

Un documento di marmo, che abbisogna di una lettura particolare, con l'aiuto di testimoni, si trova ad Intragna, nel locale cimitero. È una tomba, quella di Fulvio Ziliotto, volontario, triestino, caduto il 16-6-1944 sul Monte Marona. La data è quella del sacrificio di Mario Flaim e dei dodici (compreso il tenente Rolando mai ritrovato) eroi caduti combattendo durante il rastrellamento di giugno. La tomba comprende anche i genitori Ziliotto, senza altre annotazioni. Ma gli abitanti ricordano che mentre il figlio era arruolato nella Giovane Italia, i genitori avevano trovato alloggio presso un ex-alberghetto del paese, per vivere il più vicino possibile al figlio. Ma quando giunse la notizia della sua morte, la madre ed il padre si tolsero la vita. Così, nel 1959, la salma del partigiano venne traslata ad Intragna per ricongiungerla ai suoi cari. Si fa l’ipotesi che gli Ziliotto avessero lasciato Trieste per sfuggire ai nazisti, essendo il loro cognome ebraico. Ma la loro storia appartiene, so-prattutto, a quella del dolore di tante madri, di tanti genitori: alcuni non sopravvissero, come i due profughi approdati ad Intragna per sempre. Non stanchiamoci di ripetere, dunque, mai più guerre! (Il Verbano, 20 aprile 1996)

Cimitero di Intragna. In primo piano, la tomba di Fulvio Ziliotto

In quel piccolo cimitero di montagna ero già stato altre volte. Mi ero soffermato, in passato, sulle lapidi e croci più antiche, non notando quella di Fulvio Ziliotto.
Solo pochi minuti e trovai la tomba che cercavo. Era anche abbastanza in ordine, segno che qualcuno continua a prendersene cura. L’epigrafe, ancora ben leggibile, recita:

IL XVI GIUGNO MCMXLIV
SU MONTE MARONA
EROICAMENTE CADEVA
PER LA LIBERTA’
IL VOLONTARIO TRIESTINO
DOTT. FULVIO ZILIOTTO
DAL LUGLIO MCMLIX
LE SUE SPOGLIE MORTALI
QUI TRASLATE
ACCANTO
A QUELLE DEI GENITORI
TROVAN CONFORTO

Ripulii la lapide, scattai qualche foto. Lo sguardo spaziava sulla valle. Il lago Maggiore occhieggiava lontano tra i versanti dei monti.
Tante domande attraversavano i miei pensieri. Chi era Fulvio? Cosa lo spinse, da Trieste, a raggiungere i monti del Verbano? E i suoi genitori? Qualche abitante di Intragna si ricorderà ancora di questo tragico fatto?

Fulvio Ziliotto era nato a Trieste il 14 giugno 1920 da Ferruccio e Berta Bertel. Il padre, classe 1884, di professione era impiegato; la madre, nata nel 1890, era casalinga. Si erano uniti in matrimonio l’11 giugno 1919 e risiedevano a Trieste nella centrale Viale XX Settembre al civico 24/IV, a pochi passi dalla casa natale dello scrittore Italo Svevo.
Gli anni giovanili di Fulvio erano trascorsi felicemente, con quello spirito entusiasta e impetuoso che lo contraddistinguerà in ogni sua azione. Sempre sorridente, dalla faccia aperta, sincera: gli amici e i compagni di studio del Liceo Dante Alighieri di Trieste lo ricordavano così.
Fin dal 1937 lo si vide addestrarsi ai primi rudimenti della medicina nei laboratori dell’Ospedale triestino, che nei periodi di vacanze raccoglieva tutti i volenterosi e gli avidi di sapere, insofferenti delle limitazioni imposte dalle esigenze universitarie.
Alpinista provetto, Fulvio nel 1936, 1937 e 1940 compare tra gli allievi della Scuola nazionale di roccia in Val Rosandra. Questa, organizzata dalla Sezione di Trieste del Club Alpino Italiano, aveva in Emilio Comici uno degli istruttori, il più illustre, colui che anni prima ne era stato promotore e porta-bandiera.
Una foto scattata nell’estate del 1938 da Scipio Slataper jr (poi disperso in Russia) lo vede immortalato sul ghiacciaio della Marmolada con gli amici Sergio Forti “Gigi” (ucciso in Umbria, medaglia d’oro della Resistenza), Franco Slataper (medaglie di bronzo e d’argento in Albania e a El Alamein) e Giulia Martini, fidanzata di Scipio jr.

Ghiacciaio della Marmolada, 1938. Fulvio Ziliotto è il primo a destra, l’unico con il cappello.


Proprio nel 1938 il suo nome comparirà nell’elenco degli ebrei censiti a Trieste. I nonni materni, Jacov Bertel e Augusta Rendel, erano nati a Cracovia e furono registrati come cittadini di “razza ebrea” e “religione israelita”. Anche la nonna paterna, Emma Macerata, era di “razza ebrea”. Nel 1942, nell’aggiornamento di questi elenchi, lui e suo padre Ferruccio risultarono schedati nell’elenco “B” dei cosiddetti “misti”. Fu forse questo il motivo che permise a Fulvio di studiare medicina e laurearsi, giovanissimo, a soli 23 anni?
Seguiva la tradizione dei medici triestini, appassionati della loro missione umanitaria, ma pieni di entusiasmo per tutto ciò che era bello ed elevato: dalle sale da concerto, ai rifugi di alta montagna, faticosamente conquistati, dagli spettacoli teatrali, ai raduni letterari e scientifici.
Milano fu la sua città universitaria. In sei anni di lavoro, dalle sale anatomiche, ai laboratori di analisi, fino alle corsie d’ospedale, «egli percorse le varie tappe del suo tirocinio con ferma coscienza e onestà, e si trovò di fronte alla vita in quella tragica estate del 1943, quando i nuovi orizzonti che sembravano schiusi dal compimento degli studi, venivano offuscati dalla bufera addossatasi sull’Italia». (La Pro-vincia Pavese, 27 maggio 1945)

Nell’aprile del ’43, infatti, Fulvio Ziliotto fu arrestato dall’Ovra (sigla dell’“Opera Vigilanza Repressione Antifascismo”), in quanto aderente al Partito d’Azione, e incarcerato prima a Milano e poi a Firenze. In agosto "La Stampa" diede la notizia del suo rilascio: «Dopo due mesi di carcere, unitamente ad altri professori e studenti, è stato pure liberato il concittadino laureando in medicina Fulvio Ziliotto, arrestato a Milano e tradotto a suo tempo a Firenze» (La Stampa, 14 agosto 1943).
Tornato libero, riuscì a laurearsi e tornò per un breve periodo a Trieste dove continuò a frequentare gli amici antifascisti del movimento Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione. Trovò poi impiego al Sanatorio di Garbagnate Milanese come medico assistente.
In quel frangente, venne a sapere che sua nonna Augusta Rendel, settantacinquenne, il 31 ottobre 1943 era stata arrestata a Trieste in quanto ebrea. Il 6 gennaio 1944 l’anziana donna fu fatta salire sul convoglio n. 22T e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale non fece mai ritorno.

Il 10 aprile 1944 Fulvio venne nuovamente incarcerato a San Vittore. Da qui, non si capisce se da evaso o rilasciato, prese la via della clandestinità.
Le valli del Verbano e dell’Ossola furono spettatrici della sua completa, incondizionata dedizione alla Resistenza.
Molti conobbero la sua instancabile attività di ufficiale medico tra i patrioti della “Cesare Battisti”. Anche Antonietta, nome di battaglia “Darsett” (“Diciassette”), sorella del partigiano e scrittore Nino Chiovini, raccontò in più di un’occasione che «a fare iniezioni, medicazioni e fasciature gliel’aveva insegnato un medico bravissimo, con altri compagni trucidato sulla Marona».
In quei giorni del giugno ’44, mese tragico per i partigiani asserragliati in Val Grande, alcuni di loro si recarono sul Pizzo Marona per cercare di contrastare l’avanzata tedesca.
Nella notte del 16 giugno, il tenente Mario Flaim e i suoi uomini raggiunsero, sul Pizzo Marona, il comandante “Rolando” (Gaetano Garzoli) della “Giovine Italia”. Con Flaim c’era anche Fulvio Ziliotto, che avrebbe dovuto assistere il partigiano “Guido il monco” (Alfredo Labadini), ferito a un braccio durante il combattimento nei pressi di Pizzo Pernice.
I tedeschi attaccarono. Verso mezzogiorno tutto era finito. Prima di ritirarsi fecero saltare la cappelletta. Dopo il rastrellamento, alla base dei roccioni verso la Val Pogallo, furono trovati i cadaveri di undici partigiani. Alcuni di essi non presentavano ferite da arma da fuoco, ma solo quelle prodotte dalla caduta; forse furono gettati vivi dall’alto: «Undici corpi alla base dei roccioni che guardano sulla Val Pogallo», scrisse Nino Chiovini. Il tenente degli alpini Mario Flaim giaceva «fra le rocce della tragica Marona, il volto esanime, massacrato, rivolto al sole». Il corpo del comandante “Rolando”, invece, non fu mai trovato.

Nel giugno del 1945, appena conclusa la guerra, i genitori di Fulvio raggiunsero Intragna con la speranza di ritrovare le spoglie del loro unico figlio. Presero alloggio all’Albergo Antoniazza.
L’allora presidente della Sezione Verbano del CAI li ricorda così: «Conobbi quei poveri genitori, li aiutai nelle ricerche dell'amato loro figlio, lo udii il pianto straziante della madre e non valevano parole di consolazione; non resistettero all’atroce dolore e, raccolte le spoglie del figlio, si dettero la morte nell’alberghetto di Intragna ove avevano preso soggiorno per le ricerche della loro creatura». (Il Verbano, 27 luglio 1956 e Lo Scarpone, 1 ottobre 1956)
Il tragico suicidio, messo in atto con un’iniezione letale, è ricordato ancora oggi da alcuni abitanti del paese. Prima della loro sepoltura, fu recitato il rosario nel salone dell’albergo, alla presenza delle salme pietosamente coperte da un lenzuolo.
Nel Libro degli Atti di Morte conservato presso l’archivio parrocchiale di Intragna, il parroco don Angelo Fossati registrò i tre decessi: dei genitori, avvenuti in via Antoniazza il 1 luglio 1945 ma registrati il 3 dello stesso mese, e del figlio, morto e sepolto alla Marona.

Quest’estate sono tornato a visitare il sepolcro di Fulvio Ziliotto. Avevo un libro con me, La casa in collina di Cesare Pavese (1948). Mentre osservavo il cielo sopra Intragna, pensando ai tanti uomini e donne morti su questi monti in nome della Libertà e a tutte le vittime dei conflitti passati e presenti, l’ho aperto e ne ho letto il finale: «Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero».


Ringrazio Monica Gagliardi, Lina Minesi, Cesare Morandi e Marco Paltani per le utili informazioni fornitemi.


Fonti
Autori vari, 1929-2019. Gli anni di scuola, in “Alpi Giulie, Rassegna di attività della Società Alpina del-le Giulie - Sezione di Trieste del Club Alpino Italiano”, anno 113, n. 2/2019.
G. Biancardi (a cura di), Diario Storico della 1a Divisione Ossola “Mario Flaim”, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara, LXXXVI (1995).
Val Grande ’44. Storia del Rastrellamento, documentario a cura di Stefano Cerutti – Frame Per Second, 2019.
Nino Chiovini, I giorni della semina, Tararà, 2005.
Nino Chiovini, Piccola storia partigiana della banda di Pian Cavallone, Tararà, 2014.
Liliana Picciotto, Il libro dei deportati dall’Italia 1943-1945, Mursia 2002.
Livio Isaak Sirovich, Cime irredente. Un tempestoso caso storico-alpinistico, Cierre edizioni, 2019.
Roberto Spazzali, «Ragione e volontà di rinnovamento». Il Partito d’Azione e gli anni difficili di Trieste, in “Qualestoria” n. 1 - giugno 2013.
Nico e Lino Tordini, Partigiani di Valgrande, Alberti libraio editore, 2021.

Questo articolo riprende quel che è stato pubblicato sulla rivista "Monte Zughero" (n. 24, gennaio 2024)  del CAI sez. Baveno. 

Nessun commento:

Posta un commento

La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...