domenica 10 dicembre 2023

La campana nuova. Novella di Natale

In un arroccato paesino della Valle Intrasca vi era un tempo una vecchia chiesa, un vecchio parroco e una campana anch’essa vecchia e così malandata che, a sentirla suonare, pareva il tossire raschioso di un’anziana gravemente influenzata. Ma anche il buon parroco non se la passava meglio, anzi sulla sua schiena gravavano, pesanti come una robusta carica di legna, tutti i suoi settantaquattro anni trascorsi in quei luoghi assai faticosi. Il volto del prete era rugoso, incorniciato da lunghi capelli bianchi che gli pendevano ai lati simili ai ciuffi di canapa che le montanare solevano filare d'inverno, ciarlando del più e del meno davanti al fuoco scoppiettante del camino.
S'appressava sempre più il tempo delle nozze d’oro di don Raffaele con la Chiesa, e poiché nei lunghi anni del suo sacerdozio egli s’era comportato con dignità, preoccupandosi sempre del bene altrui, i parrocchiani, in comune intento, decisero di ricompensarlo con un bel dono.
I tre fabbricieri fecero segretamente la questua di casa in casa e, quando ebbero raccolto un gruzzolo di ben venticinque pezzi d’oro da venti lire, consegnarono la somma a don Raffaele pregandolo d’andare, con suo comodo, a Novara ad acquistare la campana nuova da lui tanto desiderata.
– Miei cari ragazzi – mormorò commosso il vecchio sacerdote – ma è proprio il Signore che, per così dire... –, poi s’interruppe commosso senza riuscire a dir altro.



All'indomani don Raffaele si mise in viaggio: avrebbe raggiunto Intra discendendo la vallata a piedi, poi Arona su un comodo vapore. Preso il treno avrebbe raggiunto Novara, dove chiedere in Curia i consigli giusti per un ottimo acquisto.
La giornata era bella. In fondo alla valle scorreva gorgogliante il San Giovanni; dal fitto dei castagneti proveniva il canto di numerosi uccelli. Don Raffaele scendeva a passo svelto, lodando in cuor suo il Signore, mentre già gli pareva di sentire i rintocchi della nuova campana.
Passato sotto Caprezzo e superato Ramello, sulla strada fra Cambiasca e Trobaso s’imbatté lungo il ciglio in una vettura di saltimbanchi. Nel prato vide un vecchio cavallo morto stecchito, sdraiato su di un fianco con le quattro zampe distese e rigide, il ventre sformato da un enorme gonfiore. Accanto ad esso una coppia di anziani, che indossava costumi bizzarri, se ne stava accovacciata nell’erba, scossa da un pianto ininterrotto e disperato.
Mentre lo sguardo di don Raffaele indugiava sulla scena, una ragazzina di circa quindici anni gli andò incontro:
– Un po’ di carità, signor curato! –. La voce era dolce e modulava la supplica come il verso d’una litania. La ragazzina indossava una camiciola sudicia e un giubbetto rosso. Gli occhi erano neri, grandi e luminosi, le braccia nude mostravano tatuaggi dai fiorami azzurri, mentre un cerchio di rame le tratteneva i capelli alla moda zingara.
Don Raffaele sulle prime fu tentato di estrarre dal portamonete un pezzo da due soldi, poi si trattenne per interrogare la ragazzina.
– Mio fratello – essa raccontò – è in prigione perché ha rubato una gallina. Era lui che ci faceva sopravvivere! E ora sono due giorni che non mangiamo. II prete lasciò i due soldi nella borsa e fece per metter fuori una mezza lira d’argento.
– Io – continuò la ragazza – so giocare coi cerchi sulla corda e la mamma legge la fortuna, ma non ci lasciano più esercitare il mestiere in queste contrade, perché siamo troppo poveri. Ed ora il nostro vecchio cavallo è morto di fame! Che ne sarà di noi? La gente ci scansa… anche noi moriremo di fame...
– Ami tu il Signore?
– Potrei amarlo se voi ci veniste in aiuto.
Il prete sentiva alla cintura il sacchetto dei marenghi d’oro. La piccola mendicante non gli toglieva di dosso gli acuti occhi irrequieti.
– Sei buona?
La zingara non comprese e tacque.
– Ripeti: Mio Dio, vi amo – insistette il sacerdote.
La zingara rimase in silenzio fissando don Raffaele, che estratto il sacchetto dei marenghi fu sul punto di scioglierlo. La ragazzina, coltone il tintinnio delle monete, disse – Signor curato, vi amo – poi con mano scaltra e rapida afferrò il sacchetto fuggendo nel prato, d’appresso agli anziani genitori.

Il vecchio prete riprese a scendere verso Intra, pensando alle miserie di tante creature umane e pregando con tutto il cuore il buon Dio affinché proteggesse la piccola zingara che, evidentemente, nulla sapeva di religione e forse non aveva neppur ricevuto il battesimo. D'un tratto si ricordò che non avendo più il sacchetto dei marenghi non valeva la pena d'andare fino a Novara.
Ritornato sui suoi passi ritrovò il cavallo morto e sul ciglio della strada il carro abbandonato, ma i saltimbanchi erano scomparsi. E non riuscendo a comprendere come avesse potuto lasciarsi sottrarre così facilmente quella cospicua cifra, pensò d’aver senza dubbio commesso un gran peccato e abusato della fiducia dei suoi parrocchiani; insomma, don Raffaele credette d’aver consumato una specie di furto.
– La campana, la campana! – si disperò. Come avrebbe ora provveduto? Che avrebbe detto a propria discolpa? Fu grave e lunga la via del ritorno per il buon vecchio, preoccupato e profondamente turbato.
– Siete già voi, signor parroco? – gli domandò in serata la perpetua. Non siete dunque andato a Novara?
Il prete, che era rientrato in canonica con aria circospetta, passando dalla porta di servizio per non dare nell’occhio in paese, visibilmente costernato non seppe altro che rispondere alla donna con una bugia:

– Ho perduta la coincidenza... Andrò un altro giorno... Ma intanto non riferite ad anima viva che sono già ritornato. Poi se ne andò a letto e il giorno successivo non celebrò messa, rimanendo rinchiuso in camera sua a meditare tutto mogio sull’improvvido accadimento. All’indomani vennero però a cercarlo per un malato e allora uscì senza alcun indugio, perché mai e poi mai don Raffaele avrebbe rifiutato a una pecorella del suo amato gregge l’unzione con gli oli santi.
– Oh, signor parroco, ben tornato! Avete fatto buon viaggio?
Don Raffaele mentì per Ia seconda volta:
– Buonissimo, amico mio.
– E questa campana?
Il buon prete oramai ritrovatosi sulla via delle menzogne rispose:
– Magnifica, amico mio! La si direbbe d’argento fino: basta toccarla e dà un suono cosi vibrante che la sentiranno da Ramello a Scareno.
– E quando la vedremo?
– Ci vorrà un po’ di tempo. Bisogna farvi incidere alcuni versetti della sacra scrittura...

Tornato a casa don Raffaele domandò alla vecchia perpetua:
– Senti, se vendessi il divano, la poltrona, l'armadio e la pendola che sono in camera mia, credi che ne faremmo cento scudi?
La perpetua scoppiò a ridere:
– Ma non ne faremmo quattro soldi, di quei mobili in rovina.
– E allora, senti, io non mangerò più carne: la carne mi fa male!
La vecchia serva s'insospettì, lo circuì di domande insistenti e finalmente seppe ogni cosa.
– Ah, questo non mi sorprende – esclamò – il vostro buon cuore vi perderà! Ma non vi fate cattivo sangue, per ora, e cerchiamo piuttosto di guadagnar tempo.
La perpetua cominciò a raccontare delle storielle: – Nell’imballare la campana nuova l’avevano lasciata cadere e sera fessurata.
Bisognava rifonderla. Rifusa la campana era stata mandata fino a Roma perché fosse benedetta dal Santo Padre. E il viaggio era lungo.
Ma i parrocchiani cominciarono a stancarsi dell’attesa e a mormorare. Don Raffaele udiva delle voci ostili e la sua messa d’oro passò senza festeggiamenti, turbata dai rimorsi divenutigli oramai intollerabili.

Venuta la settimana del Natale, il povero prete, dopo aver pregato a lungo decise di liberarsi finalmente del peso del peccato, confessandolo pubblicamente ai suoi parrocchiani.
La notte di Natale quindi, dopo il Vangelo, salì sul pulpito. Col volto rigido e smorto, già rassegnato al sacrificio dopo una settimana di tormentate meditazioni, cominciò:
– Miei cari fratelli, miei cari amici, miei cari figli, ho una confessione da farvi...
In quell’istante una squillante nota argentina riverberò dal campanile, invase la chiesa ed echeggiò nella vallata, rompendo il silenzio di quella notte natalizia serena e freddissima. I parrocchiani si guardarono l’un l’altro stupiti levando dai banchi un coro di voci gioiose:
– La campana nuova! La campana nuova!
Era un miracolo quello? O la vecchia perpetua, rattristata dal grave imbarazzo del suo caritatevole padrone, si era forse confidata con le nuove vicine, da poco ritornate dall’America dopo aver raggranellato per anni una grande fortuna, convincendole così a lenire il dolore del sacerdote?
Il fatto è che quei bravi parrocchiani non seppero mai cosa avrebbe voluto confessare, in quella memorabile notte di Natale, il loro buon e pietoso don Raffaele.

***
Un racconto a firma Calandrino pubblicato sul giornale La Vedetta del 23 dicembre 1911, ritrovato e adattato da Fabio Copiatti e Pietro Pisano



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