lunedì 25 marzo 2019

Giochi incisi sulla pietra, antichi passatempi per bimbi di tutte le età

L’approssimarsi di una conferenza dedicata ai “giochi sulla pietra” che terrò a Baveno il 5 aprile 2019 mi sta portando a rivedere – virtualmente (sfogliando libri e foto) ma anche fisicamente – alcuni dei tavolieri più interessanti del Verbano-Cusio-Ossola (VCO). Il ripercorrere le vie dei paesi e l’incontro con “vecchi” e nuovi collaboratori mi stanno regalando inaspettate e pertanto gradite sorprese, ossia tria, filetti e altri giochi ad oggi ancora inediti.


Montorfano di Mergozzo: tavoliere segnalato da Martina Merlo


Le prime segnalazioni di giochi incisi su pietra nel Verbano e dintorni sono opera di Daniela Piolini e Nino Chiovini, entrambe risalenti alla seconda metà degli anni ’80. Filetto (conosciuto anche come triplice cinta, tavola mulino, mulinello, merler, ecc.) e tria (o tris) sono comuni sui cosiddetti “tavolieri”, ossia su lastre di copertura di muretti, su scalini, su veri e propri tavoli in pietra o, più raramente, su affioramenti rocciosi. Carlo e Luca Gavazzi nel 1997 ne censirono e pubblicarono centinaia, scoprendo che l’Alto Novarese è forse una delle zone più ricche al mondo di queste incisioni.

venerdì 15 marzo 2019

La cappella di Albanè: in cammino verso la Val Grande tra storie e ricordi

Dell’antica mulattiera che collega Cossogno a Ponte Casletto (quello pedonale, che scavalca la forra del rio Pogallo) e poi a Cicogna, paese noto come la piccola “capitale” del Parco Nazionale Val Grande, ho parlato nel primo articolo di questo blog.

Mi piace tornare a parlarne oggi, in questo “Venerdì per il futuro” (o “sciopero scolastico per il clima”), giorno in cui i giovani manifestano per chiedere ai governi politiche e azioni più incisive per contrastare il cambiamento climatico, perché su questo versante della valle sono ancora visibili i danni di una tromba d’aria che una decina di anni fa abbatté, "a macchia di leopardo", centinaia di alberi, evento del tutto anomalo per la zona.

Poco più di 40 anni fa i cürt che si incontrano lungo questo percorso erano ben visibili, non ancora soffocati dal bosco. L’abbandono però era già quasi totale, soprattutto nel tratto da Miunchio (Miüi) a Ponte Casletto. Affacciarsi sull’uscio di casere e stalle era come entrare in una Pompei alpina: arredi e oggetti d’uso quotidiano sembravano in attesa di un ritorno, quello del loro proprietario, che mai più sarebbe avvenuto.
Ora c’è il nulla, o quasi: Merchès, Le Loghe, Preciapùn, Elbenè, sono i nomi dei cürt, tutti ormai scomparsi, edifici con tetti e muri crollati, campi invasi da rovi, patrimonio di un’archeologia alpina "valgrandina" che negli anni a venire auspico possa diventare attività di studio e valorizzazione.


"Pompei alpine" in Val Grande lungo la mulattiera Cossogno-Ponte Casletto


Poco rimane, su questa via d’ingresso alla Val Grande, poco ma di grande interesse: la storica mulattiera, i ponti in sasso, un’edicola religiosa, i ruderi – e la memoria – dei quattro cürt sopra citati. È vero che, per quanto riguarda ad esempio le cappellette, nelle nostre valli se ne contano a centinaia (1500 nella sola Ossola!), e non tutte possono essere prese in seria considerazione nell’ambito di un serio programma di tutela e valorizzazione. Ma alcune, più di altre, meritano di essere studiate utilizzando le fonti archivistiche, bibliografiche, iconografiche e orali, come ad esempio la cappella di Elbenè (Albanè sulla carte topografiche ed escursionistiche, toponimo che dovrebbe derivare dal nome locale dialettale del pioppo tremulo, molto diffuso nei boschi di forra).

venerdì 8 marzo 2019

La Latteria Pirovini di Via Fiori Chiari: tre sorelle nella Storia di Milano

Delle sorelle Pirovini, che con la loro latteria di Milano sono entrate di diritto nella storia sociale del capoluogo lombardo, ho già scritto in passato nel libro La valigia di cartone. La loro famiglia proveniva da Cicogna, ma vissero buona parte della vita a Cossogno, alle porte della Val Grande, in una bella villa all’ingresso del paese.



«Il nome Pirovini dice molto ai Milanesi che frequentavano la zona di Brera quand’era ancora il quartiere degli artisti», scrisse la giornalista Maria Pia Rosignoli, moglie di Vittorio Scardovelli, uno dei loro nipoti. «Lì si trovava la famosa Latteria Pirovini, in via Fiori Chiari, a due passi dall’Accademia. Aperta alla fine dell’Ottocento da Pietro e Francesco Pirovini, fornitrice di ottimi gelati all’aristocrazia della zona, la latteria divenne presto uno dei ritrovi del mondo culturale milanese: su quei tavoli di marmo consumarono yogurt, caffèlatte e “svizzerine”, senza alcuna pretesa gastronomica, grandi nomi di teatro, cinema, pittura e letteratura. Nel 1944-45 gli ultimi e più duri anni della guerra, la trattoria era la mensa dell’Accademia frequentata [...] da notissimi volti come Guttuso, Ajmone, Kodra [...]. Lì, su un tavolo senza tovaglia, dalle discussioni fra Paolo Grassi e Giorgio Strehler nacque il Piccolo Teatro, inaugurato il 14 maggio 1947. Venivano Dario Fo, Franca Rame [...]. Le leggende intorno alla latteria Pirovini fiorivano [...], raccontavano di conti lunghissimi mai pagati, di battute fulminanti, di amori nati o sfioriti sotto gli occhi delle severe e devote sorelle Pirovini, Cecilia, Elena e Lina».

lunedì 4 marzo 2019

Carnevale a Bieno... con randello sul muso!

Mentre il nostro carnevale di rito romano sta volgendo al termine e si avvicina quello ambrosiano delle confinanti terre cannobiesi e lombarde, vi offro unaccesa richiesta scritta nel 1887 in quel di Bieno da un padre di famiglia che certo non amava maschere e antiche tradizioni popolari in uso nei giorni di lunedì e martedì grasso.


Bieno. Osteria Nazionale. Cartolina viaggiata nel 1931

BIENO. Un provvedimento (da La Voce del Lago Maggiore e dell’Ossola, 18 febbraio 1887)

Ci scrivono: L’Illustre Sotto-Prefetto del Circondario con savio consiglio ha proibito alle maschere d’introdursi nelle abitazioni private. Un abuso ancor peggiore avrebbesi ad estirpare. A Bieno, per esempio, le ore mattutine del Lunedi e Martedì grasso riescono per ogni famiglia quieta e tranquilla una vera vessazione, a non dir altro: e perché? É ben che si sappia: Se sbarrata la casa, una famiglia si allontana, è maledetta: se vi si rinchiude, con lazzi più o meno inverecondi è oltraggiata: se la porla anche sola socchiusa, vi si trattiene pei fatti suoi, ha la noia di vedersela invasa petulantemente, e peggio. 
E gli invasori sogliono essere bracchi d'un naso arcilungo; fiutano e rifiutano a dritta ed a traverso, di su e di giù e persino nelle pentole. Hai del salame appeso per stagionarlo, o frutta, od altro in serbo? allo strepito d’una musica, che ti strazia i timpani, ti trascinano la moglie o la figlia sul ballo per divertirsi, ed intanto la tua grazia di Dio è decimata per bene. 
Bollono al fuoco carne, o salsicciuoli, o che altro di consistente? Per poco che li distragga te l’azzaffano d’un colpo, e tra grida sguaiate e viva di trionfo le lo portan via e nol ricuperi più. Nè qui finisce: a cessare l’odiosa visita vino ci vuole; e non poco, che ne inghiottono a tutta canna, e ne imbottano quanto più possono. 
Vandali Villani! un randello sul muso al loro merito sarebbe ancor poco.

Un padre di famiglia

La storia di Tel, il cane dei fratelli Benzi

Un racconto di Carolina  “ Lina ”  Pirovini (1906-1991) A Cicogna c’era Tel, un bravissimo cane da caccia. Faceva parte della numerosa briga...