Era una fredda giornata di fine
inverno quando, sotto un cielo plumbeo che rendeva il paesaggio spettrale e
triste, mi avviai verso il paese di Cicogna.
Dopo aver percorso per anni la
valle con animo poco attento alle tracce del passato, iniziavo anch’io a
provare quell’inguaribile sentimento che Nino Chiovini aveva voluto
affettuosamente definire “Mal di Valgrande”.
Quel giorno d’inizio marzo del
1994 avevo programmato di raggiungere Ucciascia, Vüciaje nel dialetto di Cossogno, Comune a cui appartiene da sempre
l’aspro e scosceso versante sulla sinistra orografica del rio Valgrande. In
questa “spedizione esplorativa” mi avrebbero accompagnato tre fidati compagni:
lo zio Paolo, mio cognato Lino e Bernard, un amico svizzero.
Di buon mattino partimmo dalla
“piccola capitale” del parco nazionale, istituito da soli due anni, dopo aver
fatto colazione a Ca’ del Pitur, così
chiamata perché vi aveva abitato Giovanni Battista Benzi, il pittore di
Cicogna, all’epoca era proprietà di una mia lontana cugina e ora accogliente
bed & breakfast gestito dalla famiglia Mazzoleni.
![]() |
Alpigiani di Cossogno a Müntüzze (foto archivio ass. Le Ruènche, g.c. dalla fam. Perazzi) |
Dalla vicina Chescè raggiungemmo Müntüzze dove, curiosando tra ruderi e
rovi, ci affacciammo a osservare l’interno di uno dei pochi edifici ancora
ben conservati: focolare centrale delimitato da un cordolo quadrato di sassi,
detto brantàna; pareti annerite dal
fumo; una vecchia cassapanca; il soffitto a graticcio sul quale venivano
distese le castagne destinate all’essicazione.
A Müntüzze nella prima
metà del ’900 vivevano una quindicina di famiglie, tutte di Cossogno, ognuna
con due o tre mucche. Era un vero e proprio paese, abitato dalla primavera al
tardo autunno, Dal 20 luglio fino al terminar d’agosto da Müntüzze, ma anche da altri curt
vicini, genti e bestie si trasferivano a Vüciaje, verso i pascoli estivi di Belmell.
![]() |
Müntüzze, 1990 circa. Ca' d'la grà con focolare centrale (foto F. Copiatti) |
Nell’Ottocento a Müntüzze
c’era anche una piccola chiesa, con tanto di altare e banchi per sedersi. A
testimoniarne l’esistenza rimangono i ricordi degli anziani, alcuni documenti e
la leggenda che racconta le origini di Cicogna: «Prima di Cicogna esisteva Müntüzze.
Alcune persone di Müntüzze, forse spinte dalla scarsità di acqua,
decisero di costruire delle baite nel posto che poi diventerà Cicogna. Sorse
però una lite per il nome: chi era rimasto a Müntüzze voleva chiamare la
nuova frazione Müntüzze, chi si era spostato voleva invece un nome
nuovo. Si fece una scommessa. Chi per primo fosse riuscito a costruire una
chiesa avrebbe deciso il nome. La prima chiesa ad essere costruita fu quella di
Müntüzze, ma il giorno della festa di inaugurazione crollò. Gli abitanti
della nuova frazione ebbero così il tempo di terminare la loro chiesa,
costruita non dove è ora, ma nella zona dopo Pozzolo. Appena la chiesa fu
finita si vide volare un uccello che assomigliava ad una cicogna. Il paese fu
quindi chiamato Cicogna».
Mentre raccontavo queste storie all’amico
svizzero, ci ritrovammo al limitare del curt,
di fronte al caratteristico gabinetto, quello d’Ghindòn, anch’esso a struttura circolare come il torchio che
avevamo incontrato al Runchett, poco
prima di arrivare a Müntüzze. Tutto attorno campéi, campi terrazzati, e arbum secolari, i cosiddetti “alberi
del pane”, che con le loro castagne avevano nutrito generazioni di alpigiani.
Piccole costruzioni in pietra, coperte da un tettuccio in piode e aperte verso
valle, ospitavano i bözz, rudimentali
arnie a me famigliari per essere diffuse anche a Miüi, il curt dove mia madre trascorse infanzia e
adolescenza.
![]() |
Il balm di Crusane nel 1994 (foto F. Copiatti) |
Ci lasciammo alle spalle Müntüzze
e riprendemmo il cammino.
Alcuni muri in pietra ci fecero capire che un altro curt era vicino, Crusane: qui, anni prima, avevo scoperto cosa
fosse un balm, ossia uno roccia o
pietra aggettante che forniva riparo ai pastori, tetto naturale per piccoli e
grandi edifici. Come a Müntüzze, pure Crusane era circondato da terrazzi sui quali si coltivava uva (mericana e russera), biada, patate e frutta. Non mancavano, ovviamente, i
monumentali alberi di castagno.
![]() |
Vücijole negli anni '60 (foto T. Valsesia) |
Proseguimmo verso Vücijole,
un altro dei maggiori corti maggengali di Cossogno. Anche qui alcune casere,
stalle e fienili erano ancora “in piedi”. Che meraviglia le architetture lignee
dei tetti coperti in piode, che maestria nel costruirli! Scattai foto a
ripetizione, senza la consapevolezza di immortalare soggetti e oggetti che poi
negli anni a venire non avrei più ritrovato, come l’antico mortaio in pietra –
la pila – nel quale per secoli erano
stati pestati e macinati cereali e castagne.
Arrivammo a Le Vote dove, abbandonato il sentiero principale che conduce a
Velina, salimmo nel bosco seguendo la traccia che ci portò a una radura erbosa
e alle prime stalle. Anche Vüciaje era
costituito da un buon numero di edifici, circa una trentina, fatto del tutto
insolito per quello che sembra essere stato un insediamento estive, più
alpeggio che corte maggengale. Però come curt
lo troviamo citato negli “Ordini della comunità di Cossogno Ungiasca” del 1564,
nei Bandi campestri del 1838 e nel “Regolamento di polizia rurale” del 1885.
![]() |
Parte alta di Vüciaje nel 1994 (foto F. Copiatti) |
![]() |
Vüciaje nel 1994 (foto F. Copiatti) |
Era la prima volta che salivo ai
1008 metri di Vüciaje, ma non sarebbe stata l’ultima. In
quell’occasione l’escursione proseguì verso Cima Selva, lungo un sentiero
inizialmente ben tracciato nella faggeta e ma che poi scomparve tra ripidi canali
e aspre rocce. Infastiditi da un gelido nevischio, dopo non poche difficoltà incrociammo
la via che scende da Cima Sasso e che ci avrebbe riportato a Cicogna
passando da In Leciürt e alpe Prà.
![]() |
Marzo 1994: a In Leciürt (foto F. Copiatti) |
Pochi mesi più tardi, il 24
ottobre, tornai a Vüciaje con Lino, Bernard e
mia sorella Mirella alla ricerca del masso coppellato che, come quello più
famoso dell’alpe Prà, potrebbe essere stato inciso in un’epoca molto antica,
testimone di culti a noi ormai sconosciuti.
![]() |
24 ottobre 1994 : mentre rilevavo il masso coppellato di Vüciaje (foto Mirella Copiatti) |
A Vüciaje ci tornai poi anche con Paolo Crosa Lenz, in una delle
uscite mirate alla preparazione della sua guida alla Val Grande pubblicata nel
1996 e più volte ristampata. In quell’occasione al ritorno ci avventurammo
lungo l’ormai introvabile sentiero che da Vüciaje
porta direttamente a Cà di Strüse, sopra Müntüzze, e al torchio
da uva del Runchett, che – come
scoprii consultando le mappe catastali – a metà Ottocento non esisteva: la data
incisa su una sua pietra, 1885, indica pertanto l’anno della sua costruzione ad
opera di un componente della famiglia Massera, come si evince dalle iniziali M.
F.
Poco distante dal torchio, un’altra pietra murata sopra all'architrave di una porta, riportava interessanti incisioni (una croce, una foglia, un uccellino) e l’anno di costruzione dell’edificio: 1873.
![]() |
1995, Cà di Strüse (Foto F. Copiatti) |
![]() |
1995, Cà di Strüse: pietra incisa poi scomparsa, forse trafugata da ignoti (Foto F. Copiatti) |
Non sono molti i documenti che
parlano di questi cürt. Sappiamo però
che nel 1761, in occasione di una visita pastorale, furono contati a Cicogna
circa 65 «focularia»[fuochi, ossia famiglie, NdA], di cui 32 in paese, 7 dispersi in casere sui monti, 5
fuochi a Merine e altri a «Montunccium, Orcisciola, Pogallum etc: omnia plus minus vel
a Cigogna distantia».
Inoltre,
grazie a un dettagliato “diario-registro” famigliare (ancora inedito) redatto
tra il 1805 e il 1845, sono giunte a noi 90 pagine ricche di notizie di
un mondo contadino ormai scomparso. Si scopre così che a Müntüzze e negli altri corti vicini, da Cossogno si andava anche
in inverno per recuperare il fieno accumulato in estate («17
febbraio1818, fato un viagio con fieno da Montuza»; «27 dicembre 1820, un viagio
con fieno da Montuza») e in primavera per pulire e concimare i prati: «1 aprile
1816, fatta una giornata a Auciasia a portare ladamo»; «12 maggio 1819, portare
il ladamo [letame, NdA] e ramondare [pulizia dei prati da rami e foglie caduti
in inverno, NdA]»; per potare la vigna: «10 aprile 1823, in Montuza a fare
vigna»; o per manutenzioni varie: «marzo 1825, 5 viaggi con assi da Ucisole
sino a Montuza».
In estate e autunno, poi, non era
certo il lavoro a mancare: «giugno1818, 2 giornata in Montuza intorno al fieno»;
«11 luglio 1818, 2 giornata a Auciasia a fare il fieno»; «settembre 1824, a
messo dentro il redesino [il secondo taglio del fieno, NdA] in Montuza»; «settembre
1830, viagio con noci da Montuza»; «settembre 1829: a Montuza a scodere le noci»;
«12 e 13 ottobre 1820, a scodere noci in Montuza, a cavare la segla [segale,
NdA], a catare luga [l’uva, Nda]»; «7 novembre 1820, a spisare castagne [toglierle dal riccio, NdA] in
Montuza»; «19 novembre 1819: menare le bestie a casa»; «2 dicembre 1831, fatti
2 viaggi da Montuza con castagne».
Di queste “vetuste carte” tornerò
a parlarvi in altra occasione, con dovizia di particolari.
Oggi, dopo venticinque anni, di
quello che vi ho descritto poco è rimasto. Tutto sta crollando, tutto sta
scomparendo. Quella che era una “città estiva” è divenuta una “Pompei alpina”. Manufatti
unici e caratterizzanti di quella che Nino Chiovini, lo storico della Val
Grande, chiamava “la civiltà rurale montana”, come ricordava nell'intervento
dal titolo “Appunti di storia sociale della Val Grande” fatto in occasione del
convegno “Val Grande ultimo paradiso” (1987). Sono andato a rileggerlo (quanti
amministratori o funzionari dell'ente parco l'avranno letto?). Disse (e scrisse
negli atti) Chiovini: «Il museo più bello è però quello istituito nel tessuto stesso del territorio» suggerendo alcuni
itinerari museali all’aperto sui quali l’istituendo parco nazionale avrebbe
dovuto intervenire. Tra questi era indicato il nucleo rurale di Montuzzo, con
le sue costruzioni rotonde (il torchio da uva nella foto), i terrazzamenti per
la coltivazione della vite, le case con focolare centrale e con la “grà”, il
graticcio per l’essicazione delle castagne, ecc.
Ecco, ammetto che io ogni volta che passo da Müntüzze soffro nel
vedere ruderi dove fino a 25 anni c’erano case, stalle e fienili, notare crepe
foriere d’imminenti crolli nei muri del gabinetto circolare e del torchio, non
trovare più il piccolo mortaio perché ormai nascosto dai rovi (e quello della
vicina Vücijole sommerso dal crollo dell’adiacente casera).
Molto è stato fatto di quello che auspicava Chiovini nella sua
relazione del 1987: la sistemazione di sentieri, il riadattamento di vecchie
baite ad uso di ricovero per gli escursionisti, il recupero dell'ex Rifugio di
Bocchetta di Campo, musei nei paesi che circondano la valle, l’ostello a
Cicogna, itinerari naturalistici e culturali e ora il progetto di recupero
dell’alpe Pian di Boit.
Ora è tempo di intervenire anche a Müntüzze, torchio e gabinetto
circolare sono lì che aspettano progetti e interventi di recupero.
Voglio essere ottimista, sento che qualcuno raccoglierà questo mio appello.
![]() |
Müntüzze e il suo gabinetto circolare tra il 1960 e il 2010 |
![]() |
il torchio di Müntüzze (foto F. Copiatti e C. Venturini Delsolaro) |
Bibliografia
N. Chiovini, Mal di Valgrande, Vangelista, 1991 (ristampa
Tararà, 2002).
N. Chiovini, Appunti di storia sociale della Val Grande, in Val
Grande ultimo paradiso. Convegno, 19 settembre 1987, Verbania.
R. Bossi, T. Valsesia, Val Grande parco naturale, CCIAA Novara,
1974.
T. Valsesia; Val Grande ultimo paradiso, Alberti libraio
editore, 1985 (e successive edizioni).
C. Bottini, F. Copiatti, L. Massera, Tracce di storia. Cossogno
Ungiasca e Cicogna dalle origini al XIX secolo, ass. Le Ruènche, 2016.
Libro creditori di Giacomo Sbarra anni 1805-1845, inedito.
© Fabio Copiatti
© Fabio Copiatti
Nessun commento:
Posta un commento