domenica 15 marzo 2020

«A proposito della malattia corrente»: l’influenza “spagnola” del 1918-1919 sui giornali locali verbanesi. Parte terza

A zia Ada, giovane vittima della "spagnola"




Il mese di ottobre si avviava alla conclusione e le abitudini quotidiane delle persone erano ormai stravolte dall’influenza che non dava segno di attenuazione.
Tutti i giornali del mondo, anche quelli locali, iniziarono a tenere aggiornati i propri lettori, alcuni non nascondendo la gravità della situazione, altri cercando di non creare allarmismo, ma al tempo stesso dando informazioni utili e raccomandando di attenersi a quanto disposto dalle autorità, anche perché - allora come oggi - c’era chi diffondeva “notizie fantastiche” (oggi le chiamiamo “fake news”):

«L’influenza, come in tutti i paesi d’Italia ha battuto purtroppo anche alle porte delle nostre case, ma per fortuna in forma benigna. Se si eccettuano infatti i casi in cui la resistenza dell’ammalato era assai ridotta per precedenti scosse o vecchiaia, possiamo ben dire che l’esito letale fu rarissimo. Da questa premessa intendiamo subito trarre una raccomandazione perché siano evitati degli ingiustificati allarmi mentre d’altra parte non si devono trascurare quelle norme speciali che ben osservate scongiureranno ogni pericolo, o ad ogni modo lo renderanno più leggero.
Ben a ragione quindi potremo ripetere per noi quanto il Corriere della Sera di giovedì scorso ha scritto: “C’è poi una forma di disfattismo che si compiace di seminare notizie fantastiche, che esagera e generalizza casi particolari e di carattere affatto accidentale, alimentando il terrore delle classi meno colte. Contro questo disfattismo bisogna pure reagire ed essere senza pietà.
C’è un’altra tendenza che non va incoraggiata, ed è quella dei critici per amor dell’arte o di facile pubblicità, che suggeriscono provvedimenti a dritta e a manca e ti lanciano giudizi senza alcun senso della realtà, concorrendo così ad accrescere la confusione ed a sminuire la fiducia nelle autorità, in un momento in cui questo proprio non è necessario”». [Il Giornale di Pallanza del 20 ottobre 1918]



Prima pagina del quotidiano francese Excelsior: "I Londinesi indossano delle maschere
per proteggersi dall'influenza spagnola"

Ormai era chiaro quali fossero le modalità di trasmissione del virus, quali fossero i sintomi e quali le conseguenze. Fu proprio nel 1918 che anche i cittadini comuni iniziarono a indossare le mascherine per diminuire il pericolo di contagio:

«La malattia che attualmente infierisce e che venne denominata “grippe spagnola" non è che l’influenza del 1889-90, cioè una malattia conosciuta da secoli e che generalmente fa la sua apparizione due o tre volte ogni cento anni. Sua caratteristica essenziale e d’essere contagiosa al massimo grado e di trasmettersi con estrema rapidità da una regione ad un’altra; di qui il nome datole di pandemia, per significare che colpisce non solo un popolo, o parte di un popolo, ma l’intera umanità. Fra i disturbi provocati dalla malattia nella sua attuale recrudescenza, occorre innanzitutto menzionare la febbre, il cui andamento contribuisce in buona parte a dare al morbo la sua fisonomia speciale.
In generale la febbre d’influenza debutta bruscamente raggiungendo di colpo 30-40 gradi per poi ridiscendere rapidamente in due o tre giorni. Quelli più importanti però, perché più gravi nelle conseguenze, sono i disturbi che colpiscono le vie respiratorie: naso, laringe, trachea, bronchi e polmoni. La bronchite e la polmonite sono infatti le complicazioni che hanno soventi esito fatale. […] Sembra oramai assodato che il germe della malattia sia un microbo determinato cui servano da veicolo particelle microscopiche di mucosità espulse con sternuto, tosse, od anche semplicemente parlando concitatamente; per conseguenza, sebbene il numero immenso dei colpiti dimostri l’impotenza di prevenirla, si potrà nondimeno sperare in qualche buon risultato evitando assolutamente le riunioni numerose e specialmente di avvicinare individui convalescenti od ammalati, i quali ultimi dovrebbero possibilmente venire isolati». [La Vedetta, 26 ottobre 1918]


Volontarie della Croce Rossa di Boston assemblano mascherine (fonte: archivio nazionale USA)

Le misure di prevenzione diventavano con il passare dei giorni sempre più severe:

«Chiusura dei Cimiteri. Per misure sanitarie, i Cimiteri saranno tenuti chiusi nei giorni 1, 2 e 3 Novembre prossimo. In via eccezionale, ed a parziale modificazione del Decreto già pubblicato è permesso fino a mezzogiorno del 1. novembre alle famiglie di mandare un incaricato a deporre fiori e corone sulle tombe dei loro cari». [La Vedetta, 26 ottobre 1918]

«L’influenza. Il Sindaco, in osservanza a recenti circolari Prefettizie, ritenuta 1’opportunità di più rigorose norme profilattiche e igieniche, ha pubblicato questo nuovo avviso:
1) è sospeso fino a nuovo avviso il suono delle campane per i trasporti funebri e per l’accompagnamento del viatico.
2) agli accompagnamenti funebri non devono prendere parte se non i parenti, evitando qualsiasi forma di corteo.
I trasgressori saranno puniti a norma di legge.
N.d.R. - Tutti questi provvedimenti sono ottimi ma pur troppo vediamo che pochi sono i cittadini che sentono il dovere di rispettarli. Prevale nei più il sentimento di affetto verso i poveri defunti e non si vuole trascurare l’estremo tributo che si manifesta col seguirne i funebri. Belle cose anche queste, ma negli attuali momenti e coi gravi pericoli che incombono sulla salute pubblica, ìl sentimento si trasforma in incoscienza». [Il Giornale di Pallanza, 27 ottobre 1918]

Anche nel Verbano, purtroppo, contagi e decessi aumentavano in modo esponenziale:

«Nota Mesta. Pur nel decrescere il morbo fatale miete fra le nostre famiglie implacabilmente. Ogni nome di defunti in questo periodo ricorda una storia di speranze troncate, di famiglie in cui vuoti inopinati non potranno più essere colmi di miserie pietose che, purtroppo, la parca ha lasciato dietro di sé. A tutti i provati la parola della solidarietà umana, del cristiano conforto». [La Vedetta, 1 novembre 1918]

Il pensiero di tutti andava ai morti, ma anche ai sofferenti:

«L’orologio Municipale. Mai come ora una parte rispettabile della cittadinanza ha sentita la nostalgia dei rintocchi dell’orologio Municipale. Sono specialmente gli ammalati 'spagnuoli' per i quali le notti sono eterne se non ne scanda le ore l’argentina voce amica. I nostri vecchi solevano dire: “Che cosa serve aver la serva se la serva poi non serve?” Noi chiediamo se non sia giunto il momento di provvedere ad un servizio pubblico più importante di quanto può sembrare».
[La Vedetta, 1 novembre 1918]


L'Ospedale di Intra (fonte: archivio G.B. De Lorenzi Finocchiaro, Verbania Antiche Immagini)

Medici e infermieri erano in prima linea, ma ciò non era ovviamente sufficiente. Serviva aiuto nella cura degli ammalati:

«Lodi meritate. In una sua recente circolare il Monsignor Vescovo di Novara scriveva: “Ho visto, or non è molto, con grande piacere i parroci e i sacerdoti prestarsi con zelo e carità edificante per assistere gli ammalati delle parrocchie vicine, che mancavano di sacerdoti o non ne avevano sufficienti al bisogno”.
I membri del clero, cui era indirizzata la lettera, leggendo il brano pensarono subito a un canonico della Collegiata di S. Vittore. Quando nel settembre scorso il morbo infieriva a Gravellona, dove mieté fra le sue vittime anche un sacerdote e un medico, la Curia Novarese telegrafò al canonico intrese di portarsi in quel centro a coadiuvare il reggente della parrocchia.
L’invito fu raccolto, e manco a dirlo, il designato si trovò immantinente sul posto a confortare col suo ministero i morenti, riempiendone l’anima di luce e speranza, a incoraggiare i colpiti, a compiere insomma tutte le parti di pastore sollecito, meritandosi l’encomio del Capo della diocesi, accorso a visitare l’addolorato paese. E non si allontanò se non quando il pericolo era spento. Anzi vi fece più tardi altre capatine per prestare i suoi servigi; in una delle quali gli capitò un caso che illustra, come sprazzo di luce, il suo profilo spirituale. Vale la pena di ricordarlo. Arrivato a notte fatta, egli bussa discretamente alla canonica; e giacché nessuno ha avvertito i colpi e le chiamate, egli s’acconcia a passar la notte seduto sullo scalino d’accesso, col capo appoggiato allo stipite, aspettandovi fra un pisolino e l’altro l’Ave Maria mattutina.
II lettore converrà che in ottobre l'avventura è meno piacevole che in agosto o in luglio. Ciò non impedì punto che il cav. don Fr. Gagioli (tutti avranno capito che si tratta di lui) sbrigasse al mattino le sue incombenze d’ufficio come se avesse dormito su un materasso di piume in una tepida stanza». [La Vedetta del 1 novembre 1918]

E quando l’opera dell’uomo sembrava non bastare, non restava che rivolgersi ai Santi che già in tempo di pestilenze avevano soccorso il popolo di Dio:

«Triduo di propiziazione. Lunedì verrà incominciato nell’oratorio di S. Rocco, attorno al quale si intrecciano memorie storiche di voti e preghiere in tempi di calamità, dovendo la sua origine precisamente da un’epoca di pubblico disagio, un triduo di propiziazione, per iniziativa di devoti. Verrà celebrato la messa alla mattina ed impartita la benedizione alla sera». [La Vedetta del 1 novembre 1918]



Oratorio di S. Rocco a Intra (fonte: archivio F. Copiatti)

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