giovedì 22 dicembre 2022

"Ul mercà scuvet" di Intra e una novella natalizia

Per decenni – forse secoli? – nel giorno della Vigilia di Natale il Mercà scuvet animò piazze e vie di Intra.
Già di buon mattino i bambini venivano strappati dal letto, insonnoliti e infreddoliti, perché godessero l’emozione del rumoroso e febbrile tramestio dell’incipiente mercato. Erano settimane che ascoltavano gli adulti parlare animosamente dello Scuèt della Vigilia e dei suoi banchi stracolmi d’ogni ben di Dio.

Mercato a Intra, cartolina viaggiata nel 1904
In effetti lo Scuèt (o Scuvèt: scopino) era il grande mercato che doveva il suo nome proprio alla tradizionale usanza di scopare via tutto ciò che, per l’occasione, era stato accumulato da tempo nei magazzeni. Allora ogni anno alla Vigilia Intra si trasformava in una sorta di mitica Bengodi, e cosa c’era mai di più bello per un bimbo se non l’aggirarsi tra i banchi carichi di giocattoli, dolciumi o d’ogni sorta di profumata leccornia?
Straordinarie erano la quantità di mercanzia esposta e numerosissima la gente che di anno in anno accorreva a frotte, che ci fosse sole, pioggia o neve.
Tutti giravano affaccendatati per vie e piazze, assorti nel pensiero degli acquisti di regali e laute imbandigioni per le feste natalizie.
Gli intresi, in evidente stato di euforia, si frammischiavano a montanari e montagnine calati sulla riva del lago dai paesi del circondario, o arrivati in barca dalla dirimpettaia sponda, che con i loro larghi gerli a ogni movimento cozzavano a destra e a manca tra le bancarelle e i passanti. Ma di proteste ce ne erano ben poche, perché un’atmosfera magica impregnava ogni cosa e rendeva la gente più paziente; in fondo era questo lo scotto che si doveva pagare per respirare quell’aria di festosità.
Dalle valli Intrasche e Cannobina, i contadini – le donne nei loro variopinti costumi, gli uomini nei pesanti abiti in fustagno – sopraggiungevano di prima mattina aggirandosi tra bancarelle e negozi per vendere ai sciuri di Intra, o scambiare coi commercianti e gli ambulanti, i loro prodotti nostrani: burro, formaggio, salame fresco fatto in casa o uova, ma anche pedule, sporte di vimini, ciotole o posate di legno.

Costume del Lago Maggiore, cartolina viaggiata nel 1909

I loro acquisti erano poveri ed essenziali, ristretti al necessario: scarpe per i bambini, una camicia o un cappottino; qualche giocattolo di poco prezzo; magari un chilo tra arance e mandarini; una stecca di torrone o un vasetto di mostarda da accompagnare al bollito, quelle poche volte all’anno che se lo potevano permettere. E tutto ciò da mettere accanto al presepe, nell’attesa che si rinnovasse la nascita di Gesù bambino.
Esaurita la merce e fatti i pochi acquisti, dopo un piatto di trippa consumato all’osteria, riprendevano la strada di casa, sempre a piedi, ovviamente.
«Non si avevano occhi abbastanza – scriveva un cronista dell’epoca – per scorrere da un banco a una bancarella, tutti stracarichi di giocattoli (che più ci attiravano!), di dolci, stoffe, abiti confezioni e ciarpami d’ogni sorta fra un via vai di gente […] desiderosa di fare acquisti a buon mercato, vociando e tirando sui prezzi, o già stracarichi di roba e dispiaciuti di non poterne portare di più».
Nulla fermò il mercà scuvet, neppure la guerra.
Così fu anche nel 1944, quando sul far della sera qualcosa sembrò cadere dal cielo.


“Caduto dal cielo”: quasi una novella natalizia
di don Claudio Mariani (1921-2008), canonico intrese

Lo si discusse non durante una periodica Congregazione foranea, come era di norma, da tutti i sacerdoti della Forania, ma in un mattino di Natale, nella sacrestia della Collegiata intrese, solo da due canonici, mentre attorno al grande braciere si riscaldavano le mani, in attesa della Messa solenne.
Era il Natale del 1944. Anno di guerra, di grandi pene, di grandi privazioni. Il decano del capitolo diceva al suo collega nel canonicato, che lo ascoltava tutto compunto, un suo patema d'animo, suscitatogli dalla confessione fattagli nelle prime ore di quel mattino da una povera massaia che, con le consuete distrazioni nelle quotidiane preghiere e gli atti d’impazienza nel sopportare il marito ed i cinque figli, si accusava di aver rubato, o quasi, un chilogrammo di burro, derrata allora introvabile.
Le cose erano avvenute così. Era tarda sera della vigilia: «ul mercà scuvet» era finito d’un pezzo, quando questa buona donna, passando per una viuzza del vecchio rione Proo, inciampava in un pacchetto. Dapprima non ci fece caso ma poi, ritornava sui suoi passi, raccoglieva il pacchetto e vi guardava dentro: era burro. Un bel panetto, con tanto di mucca ed ornamenti vari impressi con il nome del produttore: uno della Valle Intrasca. Meraviglia, stupore, incredulità. Da dove era saltato fuori tanto ben di Dio? Chi l'aveva perso? O forse era caduto da qualche davanzale, dove l’avevan messo per tenerlo fresco? Tanti e tanti pensieri; tante e tante domande, mentre la povera, (o fortunata?) donna si guardava attorno e guardava in alto a cercare qualche finestra accesa, qualcuno che rivendicasse la proprietà di tanta ricchezza. Niente e nessuno: tutto silenzio, tutto buio. Con un rapido gesto il pacchetto finì nella sua magra sportina, con un commento dolce e amaro, rasserenante ed inquietante allo stesso tempo: «È caduto dal cielo».
«E così, raccontava il canonico al suo collega, stamattina la povera massaia si accusava: l’ho tenuto pensando che fosse caduto dal cielo. Sono stato, credimi caro don Agostino, sono stato un bel po’ in silenzio, cercando argomenti e parole per aiutare la povera donna a pentirsi ed a riparare; ma poi, ripromettendomi di fare una adeguata beneficenza a qualche poveretto, le ho detto: «Caduto dal cielo?», non credo. Ad ogni modo per vostra sacramentale penitenza cantate con tutto il cuore, stamattina, unendovi ai ragazzi della cantoria: «Tu scendi dalle stelle ...». Ma credimi, non sono tranquillo, la coscienza mi rimprovera».

(novella scritta da don Claudio Mariani e pubblicata su Il Verbano il 24 dicembre 1994)


Pensiero natalizio confezionato da Fabio Copiatti e Pietro Pisano concluso il 21 dicembre dell’Anno del Signore MMXXII.

Fonti giornalistiche
La Voce del Lago Maggiore, La Vedetta di Intra, La Gazzetta del Lago Maggiore, dell’Ossola e del Cusio, Il Verbano, La Stampa: numeri vari tra 1899 e 1994, in particolare gli articoli di Luciani De Micheli (1961) e Antonio Costantini (1982).

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