venerdì 15 marzo 2019

La cappella di Albanè: in cammino verso la Val Grande tra storie e ricordi

Dell’antica mulattiera che collega Cossogno a Ponte Casletto (quello pedonale, che scavalca la forra del rio Pogallo) e poi a Cicogna, paese noto come la piccola “capitale” del Parco Nazionale Val Grande, ho parlato nel primo articolo di questo blog.

Mi piace tornare a parlarne oggi, in questo “Venerdì per il futuro” (o “sciopero scolastico per il clima”), giorno in cui i giovani manifestano per chiedere ai governi politiche e azioni più incisive per contrastare il cambiamento climatico, perché su questo versante della valle sono ancora visibili i danni di una tromba d’aria che una decina di anni fa abbatté, "a macchia di leopardo", centinaia di alberi, evento del tutto anomalo per la zona.

Poco più di 40 anni fa i cürt che si incontrano lungo questo percorso erano ben visibili, non ancora soffocati dal bosco. L’abbandono però era già quasi totale, soprattutto nel tratto da Miunchio (Miüi) a Ponte Casletto. Affacciarsi sull’uscio di casere e stalle era come entrare in una Pompei alpina: arredi e oggetti d’uso quotidiano sembravano in attesa di un ritorno, quello del loro proprietario, che mai più sarebbe avvenuto.
Ora c’è il nulla, o quasi: Merchès, Le Loghe, Preciapùn, Elbenè, sono i nomi dei cürt, tutti ormai scomparsi, edifici con tetti e muri crollati, campi invasi da rovi, patrimonio di un’archeologia alpina "valgrandina" che negli anni a venire auspico possa diventare attività di studio e valorizzazione.


"Pompei alpine" in Val Grande lungo la mulattiera Cossogno-Ponte Casletto


Poco rimane, su questa via d’ingresso alla Val Grande, poco ma di grande interesse: la storica mulattiera, i ponti in sasso, un’edicola religiosa, i ruderi – e la memoria – dei quattro cürt sopra citati. È vero che, per quanto riguarda ad esempio le cappellette, nelle nostre valli se ne contano a centinaia (1500 nella sola Ossola!), e non tutte possono essere prese in seria considerazione nell’ambito di un serio programma di tutela e valorizzazione. Ma alcune, più di altre, meritano di essere studiate utilizzando le fonti archivistiche, bibliografiche, iconografiche e orali, come ad esempio la cappella di Elbenè (Albanè sulla carte topografiche ed escursionistiche, toponimo che dovrebbe derivare dal nome locale dialettale del pioppo tremulo, molto diffuso nei boschi di forra).

La cappella di Elbenè

L’edicola di Elbenè, collocata poco sopra la mulattiera, al limite inferiore dell’omonimo corte maggengale, ha una struttura “a pilone”. Fu edificata nel 1773, come ricordato dall’epigrafe, apparentemente illeggibile (in quanto scritta capovolta), “Pietro Masera F.F. 1773”; fonti orali ci dicono che questo Massera la edificò «su spinta della devozione popolare tesa a commemorare i buratt - termine con cui venivano chiamati i boscaioli della Valle Intrasca - travolti dalle piene, i cui cadaveri, trascinati dalle acque del fiume, quasi sempre riaffioravano martoriati nella lanca sottostante. Il tempietto sulla parete interna sinistra riporta l’immagine di sant’Andrea, sulla destra quella di san Guglielmo e al centro la Crocifissione; venne sempre ritenuto un luogo di preghiera e di incontro tra le genti dei corti circostanti…».



Cappella di Elbenè: la scritta e la data 1773 s'intravvedono a ridosso del tetto

Questa e altre testimonianze sono state raccolte dall’amico Pietro Pisano in occasione delle sue ricerche volte a scoprire la storia del Coda Rossa, leggendario bracconiere della Val Grande. Fu Pietro Marchionini di Cossogno, detto il Fuin, classe 1924, a suggerire a Pisano quelli che potevano essere il paese e il cognome del cacciatore che nell’Ottocento morì sui dirupi del monte Pedum: «Sono particolari certi – disse il Fuin a Pisano –  si può fidare, frasi che ripeteva mia madre, la Pierina Piselli, nata nel 1886, quando si riferiva a fatti strani e misteriosi avvenuti sui nostri monti e riportati dalle donne per tener buoni alla sera i ragazzini nei corti, spaventandoli un po’. Ecco perché mamma Pierina spesso ricordava le frasi di mia nonna, Carolina Fantoli. Per venire al dunque... si raccontava che nella bella stagione, all’ora del vespro, le donne si ritrovavano davanti alla Cappellina di Albanè. Vi erano quelle di Marchessa, Cambiassin, Minevè, Praciapùn, Loga: insieme pregavano recitando il rosario e dopo si passavano le informazioni della giornata, sia le buone sia le cattive. D’altra parte le notizie tra gente che non sapeva né leggere né scrivere si scambiavano così, ascoltandole e riportandole. Giocoforza le donne se la contavano su e tra un pettegolezzo e una notizia si tenevano aggiornate. Tra le chiacchiere rievocavano disgrazie e morti di parenti e conoscenti. Vi era però un fatto che ricorreva spesso sulle loro bocche, la vicenda dolorosa di una vedova di Curt d’Miüi. Sembra che per diverso tempo questa anziana madre avesse tenuto l’uscio della cascina socchiuso giorno e notte, nella speranza che un suo figlio maschio, avventuratosi in autunno sul Monte Pedum per la caccia alle camosse [camosci, NdA] e mai più ritornato, potesse in qualsiasi momento trovare sempre aperta la porta del rustico. Pare si trattasse di un certo Bertoletti. In realtà l’uomo era morto stecchito tra gli anfratti delle rocce... Ciò nonostante si diceva in giro che la poveretta finché visse non trovò pace e rassegnazione alla disgrazia del figlio».


Quel che Pisano ha scoperto del Coda Rossa, al secolo Giovanni Bertoletti, lo potete leggere sull’avvincente libro Il Coda Rossa. Dalla leggenda alla storia.




Io, invece, la cappella di Elbenè l'ho raggiunta – ancora una volta – la scorsa primavera, ritrovandola poco invecchiata rispetto a come l'avevo fotografata più volte a partire dalla fine degli anni ’70.
Certamente il tempo non sarà sempre tanto clemente e, così come dell’omonimo curt sono rimaste solo macerie (e, tutt'attorno, gli alberi abbattuti una decina di anni fa da una tromba d'aria), anche della cappella un giorno resterà, temo, solo il ricordo.


Nei pressi di Miüi si possono notare gli schianti di alberi provocati dalla tromba d'aria

Per me questa cappella è da sempre fonte di ispirazione: ero appena transitato da lì quando, nel 1995, dialogando con l’amico Paolo Crosa Lenz, scrittore e curatore della collana di guide “Escursionismo in Valdossola” (Edizioni Grossi), nacque l’idea di realizzare un libro dedicato agli itinerari archeologici tra Cusio, Verbano e Ossola (F. Copiatti, A. De Giuli, Sentieri antichi, Domodossola 1997). Tre anni dopo, accompagnandoci Carlo Pessina, vero artista della fotografia, si decise – d’accordo con l’allora presidente del Parco Nazionale Val Grande Franca Olmi – di dedicarle la prima cartolina postale realizzata il 4 ottobre 1998 in occasione della dedicazione del Parco alla Madonna di Re. Ricordo ancora l'entusiasmo di Pessina nel vedere la cappella "emergere" da un mare di felci!

Poi, negli anni successivi, altre visite a Elbenè e altre ispirazioni, come l’ultima – che voglio anticiparvi –, quella di un "cammino" che presto mi porterà da Suna a Trontano tra "genti e luoghi di Valgrande" a me tanto cari. Come e quando? È ancora troppo presto per i dettagli...

La cartolina stampata nel 1998 dal Parco Nazionale Val Grande
con, a destra, la Cappella di Elbenè in un "mare" di felci (foto Carlo Pessina).
 


Note a margine

  • La definizione “Pompei alpine” è di Francesco Fedele e Marco Cima (Pompei alpine sulle nostre montagne, 1980).
  • Genti e luoghi di Valgrande è un libro di Daniela Barbaglia e Renato Cresta, Alberti editore, 2002.
  • A chi vuol conoscere la storia del Coda Rossa, oltre a Il Coda Rossa. Dalla leggenda alla storia (2016) di Pietro Pisano, consiglio anche il libro Monte Pedum. La leggenda del Coda Rossa, pubblicato nel 2012, per i tipi del Magazzeno Storico Verbanese.
  • Per una descrizione, anche fotografica, dei luoghi rimando a https://www.in-valgrande.it/energia/Energia-dalla-Valgrande....htm (autore Ferruccio Rossi).
© Fabio Copiatti

2 commenti:

  1. È un peccato vedere i curt così desolati, sarebbe però bello che sulla strada venissero posti i nomi dei vari curt, ci passo almeno due-tre volte l'anno ma oltre a Elbenè gli altri curt non so dove siano.

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  2. Ciao Maya, hai ragione, è un peccato. Trent'anni fa i cartelli c'erano, posati dalla Comunità Montana Valgrande, poi più nessuno ne ha curata la manutenzione. Ora lungo questo percorso sono in programma lavori di sistemazione, speriamo che provvedano anche al ripristino della segnaletica.

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